Tanti auguri a…Giacometti!

Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 10 ottobre 1901 – Coira, 11 gennaio 1966)

L’infanzia e il primo contatto con l’arte

Giacometti
Alberto Giacometti

Alberto Giacometti nasce il 10 ottobre 1901 a Borgonovo di Stampa, nello svizzero Cantone dei Grigioni, da Giovanni Giacometti e Annetta Stampa, discendente di rifugiati protestanti italiani. Il padre, pittore postimpressionista, inizia da subito il figlio all’arte e poi lo pone sotto la guida dell’amico pittore Cuno Amiet, che lo forma su vari stili e tecniche. La sua predisposizione sorprende tutti, in primis il padre, e il giovane Alberto trascorre i suoi primi anni a realizzare ritratti dei membri della sua famiglia, che posano per lui.

Dopo aver abbandonato il liceo, frequenta la Scuola di Belle Arti e la Scuola di Arti e Mestieri di Ginevra. Nel 1920, durante un viaggio a Venezia, Giacometti resta così colpito dalla tradizione pittorica italiana da trasferirsi l’anno dopo a Roma per studiare i grandi maestri del passato.

Si appassiona particolarmente a Tintoretto e Giotto, per il loro sguardo reale sull’umanità, libero da intellettualismi; per tutta la vita Giacometti realizzerà opere nelle quali si coglie la vera essenza dell’essere umano, senza fronzoli o idealizzazioni. Lo sguardo ingenuo dei due maestri italiani lo porta a concentrarsi sull’arte primitiva e studia antropologia per cogliere meglio l’essenza dell’umanità.

Il primo soggiorno francese

Giacometti, Torso, 1925
A. Giacometti, Torso, 1925

Nel 1922 si trasferisce a Parigi, dove segue i corsi dello scultore “arcaico” Émile-Antoine Bourdelle. Negli stessi anni, preso del fermento culturale della capitale parigina, Giacometti sperimenta anche un approccio cubista alle sue sculture, come ad esempio il Torso del 1925. La lezione cubista viene rielaborata da Giacometti con una tale capacità inventiva da attrarre l’interesse del gruppo surrealista, al quale si affiancherà fino al 1935.

Dalla metà degli anni ’20 Giacometti porta avanti il suo studio artistico insieme al fratello Diego, che lo raggiunge nella capitale francese nel 1925. È da questo momento che l’iniziale dualismo della sua arte, orientata sia alla pittura che alla scultura, lo porta a utilizzare come mezzo espressivo principale le opere scultoree, anche se non abbandonerà mai del tutto la pittura, arte con il quale aveva iniziato da bambino.

Il periodo surrealista vede la ricerca estetica di Giacometti orientata dall’immaginazione e dall’inconscio, sulla base dell’idea che l’opera d’arte abbia un funzionamento simbolico. A questo periodo appartiene Sfera sospesa (1930), dove la sfera e la mezzaluna ingabbiate testimoniano la ricerca sul problema dello spazio e della sua delimitazione, da questo momento elemento portante dell’estetica del maestro svizzero.

Se in un primo periodo Giacometti aveva dovuto progettare oggetti d’arredo e mobili, dal 1927 il successo arriva: inizia ad esporre le sue sculture al Salon des Tuileries. Nel 1932, alla Galerie Pierre Colle di Parigi, si tiene la sua prima personale, nella quale spicca la scultura Il palazzo alle 4 del mattino, una sorta di architettura fantastica in cui realtà e sogno si sovrappongono.

La rottura con il Surrealismo e il ritorno alla concretezza del reale

Giacometti, Grande testa di Diego, 1954
A. Giacometti, Grande testa di Diego, 1954

Nel 1933 la morte del padre spinge Giacometti a riflettere sulla sua arte: sente di nuovo l’attrazione per la figura, per il reale conosciuto con i maestri italiani, e prende sempre più le distanze dal linguaggio surrealista, tanto da venir espulso ufficialmente dal movimento nel 1935.

Rompendo con quanto fatto negli ultimi anni, Alberto si concentra sulla rassomiglianza assoluta. Tra il 1935 e il 1940 si concentra sullo studio della testa, e soprattutto dello sguardo in quanto sede del pensiero. Passa poi all’analisi di figure intere, con l’obiettivo di cogliere l’identità dell’essere umano in un solo colpo d’occhio.

Sono gli anni in cui Giacometti si avvicina a Picasso, Beckett e soprattutto Sartre, il quale lo orienterà alle tematiche esistenzialistiche che l’artista non lascerà mai più.

Trascorre gli anni della seconda guerra mondiale a Ginevra, e nel 1946 torna a Parigi, dove ritrova il collega e fratello Diego. Durante questo secondo soggiorno parigino, Giacometti elabora le figure filiformi che caratterizzeranno tutta la sua arte successiva, che nascono dalla ricerca sulla figura umana degli anni ’30 arricchita dalla tragicità della guerra, che ha mostrato l’uomo nella sua autenticità: scheletrico, emaciato, deformato.

Gli anni ’50 e ’60

Giacometti, Diego, 1958
A. Giacometti, Diego, 1958

Gli anni ’50 vedono proseguire l’ossessiva riflessione di Giacometti sull’essere umano, sempre reso in figure filiformi che sembrano faticare a sopravvivere. Costanti di questo periodo sono pochi temi costantemente ripresi, come i ritratti del fratello Diego, e il colore grigio che domina tutte le pitture, per sottolineare anche cromaticamente la tragicità della vita.

Sono anche gli anni che vedono la consacrazione di Giacometti a livello mondiale, con una serie di mostre che rendono noto il suo stile scultoreo unico e attuale. All’attività espositiva si affiancano il Premio per la scultura Pittsburgh International del 1961 e il Gran Premio della scultura alla Biennale di Venezia del 1962.

Alberto Giacometti muore l’11 gennaio 1966, mentre sta lavorando al testo per il libro di litografie dedicate alla sua patria d’elezione Parigi senza fine.

 

Tutto si trasforma in una forma tesa, di una violenza estremamente contenuta, come se la forma stessa del personaggio andasse al di là di quel che il personaggio è realmente, ossia soprattutto un nucleo di violenza

Giacometti, L'uomo che cammina I, 1960
A. Giacometti, L’uomo che cammina I, 1960

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.