La tradizione orale in letteratura

Le fiabe: tra lezioni di vita e sogni ad occhi aperti

Grimm, Le fiabe del focolare, 1812
Fratelli Grimm, Le fiabe del focolare, frontespizio, 1812

Da sempre i bambini di tutto il mondo vengono preparati alla vita attraverso il racconto di favole. Per noi occidentali, le favole mostrano una versione edulcorata della realtà, in cui c’è sempre una via d’uscita anche dalle situazioni più sfavorevoli e il lieto fine è dietro l’angolo e aspetta tutti.

Tuttavia, tutti conosciamo, almeno di nome, i fratelli Grimm. Si narra che le loro favole fossero dure e spesso anche violente. Questo perché derivano da un diverso modo di concepirle: non versioni edulcorate della realtà che danno speranza, ma racconti che preparano i più piccoli alle difficoltà della vita, senza nascondersi dietro all’ottimismo immotivato e irrazionale.

Le fiabe fanno parte della cultura popolare trasmessa oralmente per secoli. È solo con il Romanticismo che questa tradizione orale viene riconosciuta come vera cultura, e come mezzo per trasmettere i valori nazionalistici che dalla fine del ‘700 assurgono a elementi di distinzione e vanto per ogni popolo. Un modo per ricordare ai popoli da dove provengono, le credenze che li hanno formati, le idee che stanno alla base del loro “essere nazione”. Uno strumento per ricondurre la molteplicità delle persone sotto una stessa bandiera. Un mezzo per dare una base comune a persone diverse.

I fratelli Grimm

Eberle, Monumento ai fratelli Grimm, 1895
S. Eberle, Monumento ai fratelli Grimm ad Hanau, 1895

Jacob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859) Grimm nascono vicino a Francoforte alle soglie dell’800. Ricevono una solida formazione umanistica che spicca nella laurea in legge. Ben presto diventano professori all’Università di Gottinga dove, insieme ad alcuni colleghi, manifestano contro l’abrogazione della costituzione liberale dello Stato di Hannover, cosa che li porta al licenziamento.

In seguito agli studi accademici, i due fratelli, linguisti e filologi, hanno un grande interesse per la storiografia. Da qui nasce la loro idea di “raccogliere” i racconti popolari tedeschi in una raccolta organica che conservi memoria della tradizione popolare. È il 1812 quando esce la prima delle sette edizioni delle Fiabe del focolare (Kinder und Hausmärchen, letteralmente Bambini e fiabe domestiche). I due Grimm non si limitano a raccogliere le favole, ma combinano insieme le varianti dando talvolta vita a nuovi esiti.

Tuttavia Jacob e Wilhelm minimizzano questo loro intervento, assicurando di aver sempre rispettato il significato delle favole: “Abbiamo dato la sostanza delle fiabe così come l’abbiamo ricevuta. Si comprenderà, d’altro lato, che la maniera di narrare i particolari è dovuta a noi; ma ci siamo sforzati di riportare qualsiasi cosa che abbiamo ritenuta caratteristica, in modo che noi possiamo dare questa collezione sotto il suo aspetto vero e naturale. Colui, del resto, che si interessa a un’opera di questo genere sa che non ci si può occupare di codeste cose con un metodo da collezionista indifferente o senza senno, ma che al contrario si richiede una grande attenzione nel distinguere la lezione del racconto più semplice, la pura e la più completa dalla lezione falsificata. Ovunque noi abbiamo trovato che le varianti di un racconto si completano l’una con l’altra le abbiamo date come una sola storia…”.

Contestati per questa loro mancanza di aderenza alla tradizione popolare, i Grimm sono tuttavia riusciti a creare un capolavoro letterario che ha attraversato i secoli e ancor oggi incuriosisce grandi e piccini.

Le favole dei Grimm

Doré, Rosaspina, 1867
Fratelli Grimm, Rosaspina, illustrazione di G. Doré, 1867

Confesso che, leggendo queste fiabe, mi aspettavo una durezza maggiore. Si vocifera con un po’ troppa insistenza sulla loro crudezza macabra. Quasi tutte le fiabe, infatti, hanno un lieto fine. Tuttavia, la chiosa “e vissero per sempre felici e contenti” è sostituita con un “e vissero felici fino alla morte”. Se questa differenza a taluni può sembrare irrilevante, tuttavia ha un grande peso: non più la felicità eterna, ma la vita finita dell’uomo, seppur gioiosa e piacevole. Un primo modo per insegnare ai bambini che la vita umana ha un limite.

La discontinuità della raccolta rimanda chiaramente a favole della tradizione popolare, inventate e raccontate da persone diverse in periodi storici diversi. Tra le favole ci sono molti non-sense, più vicini a filastrocche che a racconti veri e propri; brevi momenti per rilassare il pensiero e leggere solo parole che accostate hanno una bella musicalità.

Alcune fiabe sono note ancor oggi, ma in una versione diversa. Biancaneve, Hänsel e Gretel, Cappuccetto Rosso, Rosaspina (poi nota come La bella addormentata nel bosco), Raperonzolo…Tra queste un’attenzione particolare merita Cenerentola. Nel cartone Disney che ha raccontato al mondo questa favola si saltano i passaggi più crudi. Non si fa cenno infatti al fatto che le sorellastre, per cercare di calzare la scarpetta di cristallo, si amputino i piedi. Né al fatto che nel finale, durante il matrimonio di Cenerentola, alle due vengano cavati gli occhi dalle colombe che seguono la principessa.

Molte favole, nonostante si concludano con il lieto fine, vedono la morte del protagonista o amputazioni del suo corpo. Nulla di tragico nel mondo magico della fantasia, dove queste morti e mutilazioni sono solo temporanee, grazie all’intervento miracoloso di qualche animaletto che soccorre l’eroe. Un modo per dare da un lato la speranza che con l’impegno e il buon carattere si possano superare anche le situazioni più traumatiche. Ma anche un modo per spingere i bambini a confrontarsi con le difficoltà della vita, affinché diventino adulti coraggiosi e consapevoli.

Uno strumento, forse talvolta troppo diretto ma sicuramente efficace, per evitare di crescere bambinoni sognatori che sperano e non agiscono. Le favole.

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