Blaine Harden: viaggio nei campi nordcoreani

Fuga dal campo 14

Campo 14
Campo 14, Corea del Nord

Non sono avvezzo a far della critica, ma credo che in questo articolo ci siano molte frecce scoccate dal mio arco asiatico nei confronti di un passato che ancora ci pesa e di un presente su cui non abbiamo il minimo controllo.

L’autore: Blaine Harden è uno scrittore e un giornalista. Ha trascorso parte della sua vita da corrispondente, raccontando di stati repressivi come L’Etiopia di Mengistu, la Serbia di Milošević, il Congo di Mobutu , la Birmania – in cui è entrato come turista rischiando non poco.

Giunto nel 2008 nel Nordest asiatico alla ricerca di un articolo sullo sfruttamento della repressione da parte della Corea del Nord per evitare il collasso, e date le restrizioni dettate dal regime, “I giornalisti che entravano illegalmente venivano considerati alla stregua di spie e imprigionati mesi, se non anni“, rimane a Seoul, in Corea del Sud, dove un giorno incontra Shin, un ventiseienne nato e cresciuto nei campi d’internamento nordcoreani, dai quali è fuggito tre anni or sono. Il campo in cui era prigioniero era il Campo 14.

“Il seme dei nemici di classe, chiunque essi siano, deve essere estirpato attraverso tre generazioni”

Corea del Nord, 1972. Legge istituita da Kim II Sung per incriminare i trasgressori in base ai legami di sangue e di parentela.

Campi di rieducazione
Campi di rieducazione, Corea del Nord

I campi di lavoro in cui i prigionieri del regime venivano mandati, e che sono tuttora funzionanti, esistono da tempo doppio rispetto ai gulag sovietici e dodici volte superiore rispetto ai campi di concentramento nazisti. Chiunque abbia accesso a internet può vedere immagini satellitari di ampi perimetri recintati disseminati lungo le impervie montagne della Corea del Nord.

Secondo i gruppi per la difesa dei diritti umani ci sono sei campi che comprendono tra i 150 e i 200 mila deportati. Due di questi prevedono aree di “rieducazione“. Altri sono a regime duro.

 

“Chiunque verrà sorpreso a rubare o a nascondere cibo verrà fucilato all’istante”

Regola 3, comma 3, Campo 14.

Il Campo 14 viene considerato il peggiore di tutti, per le condizioni di lavoro, la stretta vigilanza, il rigore e l’inflessibilità mostrati dal regime nei confronti dei crimini commessi dai suoi prigionieri, quali ufficiali epurati dal partito al potere, dal governo o dall’esercito e rinchiusi insieme alle loro famiglie. Qui ci sono circa quindicimila prigionieri costretti ogni giorno a coltivare campi, estrarre carbone dalle miniere, cucire divise militari e impastare cemento.

I campi nordcoreani e i campi di concentramento

Mentre il premio Nobel Elie Wiesel racconta, in uno dei testi più famosi della letteratura della deportazione, La notte, la quotidianità familiare prima che i nazisti entrassero in Romania per prendere tutti e ammassarli sui treni diretti ai campi di sterminio, per Shin è tutto diverso.

Shin non conosceva Dio. Non conosceva la parola Amore. Era nato e cresciuto in un campo di prigionia, figlio di un matrimonio per buona condotta. La madre lo picchiava, il fratello era per lui un totale sconosciuto, il padre lo ignorava.

Mentre Wiesel fu “solo al mondo, terribilmente solo, senza Dio, senza uomini; senza amore né pietà“, Shin venne al mondo e crebbe in questo modo.

“Ma guarda un po’ chi c’è, i reazionari figli di puttana”

Così l’élite, i figli delle guardie, osserva e commenta dall’alto i prigionieri dei campi, figli, nipoti di una stirpe sfruttata per lavorare solo perché ha osato dire no. O proprio per evitare che dicessero no in futuro.

Nel 1957 Kim II Sung creò una scala gerarchica neofeudale basata sul rispetto di una rigida discendenza genealogica. In pratica il governo classificò l’intera popolazione, segregandone buona parte, sulla base della presunta affidabilità dei genitori e dei nonni di ogni singolo individuo. Furono ideate tre classi – con cinquantuno categorie. Nella prima vennero inseriti i membri della classe privilegiata, con la possibilità di accedere a lavori nel governo o nel Partito del Lavoro di Corea, oppure entrare nell’esercito con il grado di ufficiale. Potevano accedervi i familiari di coloro che avevano servito il Paese contro l’occupazione nipponica o nella guerra di Corea e i membri del governo.

Sul secondo gradino c’era la classe intermedia, che comprendeva soldati, tecnici e insegnanti.

All’ultimo livello c’erano gli ostili, coloro i quali venivano sospettati di agire contro lo Stato. Ne fanno parte i proprietari terrieri, di immobili, familiari con parenti fuggiti in Corea del Sud, cristiani e tutti quelli che avevano lavorato per il governo coloniale giapponese prima della Seconda Guerra Mondiale. Chi imparentato con degli ostili può lavorare in fabbrica o in miniera e non può andare all’università.

Quindi era normale che al Campo 14 i figli delle guardie si comportassero in questo modo nei confronti dei prigionieri. Essi avevano tutte le “ragioni” per prendere a sassate gli impuri come Shin, il cui sangue era macchiato dal tradimento, mentre il loro, insieme a quello della loro stirpe, era stato santificato dal Grande Leader.

La pietà era proibita

Questo era ciò che i superiori insegnavano alle guardie.

Se lo fate, diventate voi i prigionieri“. Bastavano poche parole per insegnare a non avere pietà, non sorridere mai e pensare ai detenuti come a “cani e maiali“.

Una delle guardie, dopo il suicidio del padre e temendo ricadute sulla sua vita, scappò all’estero. An, questo il suo nome, disertò e fuggì in Cina nel 1994. Poco tempo dopo venne a sapere che sia sua sorella sia suo fratello erano stati prelevati e imprigionati in un campo. Suo fratello non ce l’aveva fatta.

Come ricorda An di quei sette anni di lavoro nei campi come guardia, nei confronti dei prigionieri: Ci hanno insegnato a non considerarli esseri umani.

I pestaggi erano assolutamente normali“. “In caso di gravidanza le donne venivano uccise insieme ai loro bimbi” e dato che “L’esistenza di questi campi era motivata da una volontà: eliminare le famiglie dei sovversivi attraverso tre generazioni” si può comprendere il motivo per cui qualunque nascituro non consentito dal regime veniva giustiziato con mazze di ferro.

In tutto questo la nascita di Shin, come quella di suo fratello, sono da considerarsi incoerenti con quanto imposto dal regime.

Certo, a meno che non si voglia mantenere la produttività all’interno dei campi agricoli, del tessile e delle miniere nei campi di prigionia, senza dover pagare, mantenere, ma potendone abusare senza spiegazioni.

In uno Stato dove ogni anno non si raggiunge la produttività necessaria a sfamare l’intero Paese. Dove la maggior parte della popolazione è denutrita, affamata. Dove l’individuo si vede pestare ogni singolo centimetro di quella dignità che noi occidentali definiamo libertà.

Alcuni di quei prigionieri non l’hanno mai vista e mai la vedranno, la libertà.

 

Vi lascio con questo breve estratto da Fuga dal Campo 14 durante il quale Shin, dopo tre giorni di torture nella sua cella, viene portato nella stanza “in fondo al corridoio” della prigione sotterranea.

 

Il quarto giorno gli aguzzini non indossavano più divise (…) Shin li incontrò in un’officina meccanica. (…) Da un piccolo argano sul soffitto scendeva una catena. Sulle pareti, dei ganci reggevano un martello, un’ascia, delle pinze e mazze di varie forme e dimensioni. (…)

Interrogatore capo: «Come ci si sente ad essere in questa stanza?»

Shin non riuscì a rispondere.

Interrogatore capo: «Te lo chiedo un’ultima volta (…) Cosa avevano intenzione di fare tuo padre, tua madre e tuo fratello, dopo la fuga?»

Shin: «Non lo so…veramente.»

Interrogatore capo: «Se dici la verità adesso, ti salvi. Altrimenti ti uccido. Chiaro? (…) ci sono andato piano con te perché sei solo un moccioso (…) Ma non mettere alla prova la mia pazienza.»

Shin di nuovo non fu in grado di dire nulla.

Interrogatore capo: «Ora basta…questo figlio di puttana va punito.»

(…) lo circondarono e gli tolsero i vestiti. Gli strinsero i ceppi intorno alle caviglie e li fissarono alla catena appesa al soffitto. L’argano si mise in moto (…) .

 

Ogni anno un certo numero di prigionieri viene giustiziato davanti a tutti, mentre altri vengono picchiati a morte o assassinati da guardie con totale licenza di violenza ed abusi.

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