Il teatro di Molière: Tartufo

Molière

Biografia

Corneille, Molière, 1664
M. Corneille, Molière, 1664

Jean (Baptiste) Poquelin viene battezzato il 15 gennaio del 1622 nella chiesa di Sant’Eustachio a Parigi e, grazie alla vita borghese assicurata dal mestiere di tappezziere dei genitori, si laurea in legge. La vocazione di Molière però non sono le arringhe ma il teatro. S’invaghisce di un’attrice della Compagnia dei Béjart e decide di unirsi a loro come attore; l’anno dopo assume il nome d’arte di Molière. L’attrice in questione è Madaleine Béjart e sarà la sua compagna di vita per sempre. Dopo due anni dalla fondazione dell’Illustre Théâtre il gruppo si scioglie e insieme ai superstiti inizia un periodo di teatro itinerante lungo tredici anni.

Il 1658 è l’anno che cambia tutto. Molière va in scena con il Nicomède di Corneille davanti al re e grazie alla sua interpretazione del testo purtroppo perduto Le docteur Amoureux ottiene il successo e la protezione del duca d’Orléans. La compagnia si trasferisce in una sede stabile in condivisione con i comici italiani dell’Arte, al teatro Petit-Bourbon a Parigi. Qui Molière abbandona il verso alessandrino caratteristico dei suoi predecessori a favore della prosa e la comicità di maniera propria della Commedia dell’Arte per virare verso la satira di costume. Porta il lessico a un livello non tanto ricercato e forbito quanto ironicamente snob, iniziando a lanciare stoccate all’aristocrazia, che comincia a storcere il naso. Da Les précieuses ridicules a Sganarelle ou le cocu imaginaire, l’autore manifesta il suo pensiero ma è ancora presto per la società del tempo per riuscire a comprendere la vera essenza della satira delle sue opere. Lo stesso Sganarello recita ai mariti presenti: “Vedete come una falsa apparenza può insinuare negli spiriti una falsa convinzione. Di questo esempio ricordatevi bene, e quand’anche vedeste tutto non credete mai a niente“.

Purtroppo il teatro di Molière trova molti antagonisti sulla sua strada, soprattutto per l’eccessiva satira nei confronti degli aristocratici e delle caste ecclesiastiche. Nel 1664, dopo la prima messinscena di Tartufo, insorge la “cabala dei devoti” che, capitanata dal parroco della chiesa di San Bartolomeo con il suo libro di teologia Il Re glorioso al mondo, ovvero Luigi XIV, il più glorioso Re del mondo e Hardouin de Péréfixe, arcivescovo di Parigi, costringe il re a vietarne la rappresentazione. Ci vorranno due lettere di suppliche al re per rivedere il 5 agosto del 1667 L’imposteur, questo il nuovo titolo, in una versione fintamente edulcorata in cui Molière smussa gli elementi  non “politically correct” trasformando l’ecclesiastico Tartufo nell’uomo di mondo Panulfo; ma la cabala dei devoti non si lascia ingannare. Il primo presidente del parlamento parigino emana un decreto per interdire lo spettacolo il giorno dopo la prima messinscena. Molière tenta di appianare la situazione con una terza supplica, ma il re è lontano e non può intervenire; nel frattempo si vocifera che il re voglia accontentare il suo diletto (Molière), e l’arcivescovo di Parigi proibisce ai fedeli di rappresentare, ascoltare, leggere L’imposteur, pena la scomunica.

Molière per fortuna non si lascia abbattere e continua a scrivere, proseguendo la stesura di una serie di produzioni notevoli nonostante le tragedie che deve affrontare in quel periodo, la perdita della moglie prima e pochi mesi dopo quella di un altro figlio piccolo.

Nonostante tutti gli scontri avuti in vita, Molière se ne va in quello che è forse il modo migliore per un attore e autore. Alla quarta replica de Le malade imaginaire, sua trentesima opera, l’autore non sta bene ma non vuole abbandonare la messinscena per poter continuare a garantire la paga ai tecnici e ai servi di scena. Messi i panni di Argante, il gioco curioso del caso si è fatto beffa del beffeggiatore: il personaggio ipocondriaco rappresentato da Molière viene colpito da un eccesso di tosse durante il balletto finale ma riesce a portare a termine lo spettacolo per poi morire poco dopo essere rientrato a casa.

Tartufo

Molière, Tartufo, 1664-69
Molière, Tartufo, 1664-69

Come fece Oscar Wilde con The importance of being Earnest, Molière costruisce una pièce basata su un gioco lessicale. Il nome Tartufo infatti, oltre a essere un tubero di alta gastronomia, in Francia viene associato ad una persona disonesta. Nel testo teatrale Mastigophore, del 1609, si può infatti leggere in una battuta “Tu n’est qu’un tartuffe, un butor…” (“Tu non sei che un tartufo, un tanghero”). Da qui l’uso del termine in una metafora che non esprime tanto l’ipocrisia quanto la rozzezza e la volgarità del personaggio.

Ambientato nella Francia del ‘600, Tartufo è una commedia basata sull’ipocrisia all’interno della società. Definendo il termine ipocrisia come una discordanza fra l’essere e la volontà di sembrare, si può essere ipocriti in modi molto diversi tra loro. Tartufo non lo è di natura: lui è un arrivista. L’uso della sua ipocrisia è determinato solo dal raggiungimento dei suoi scopi. Come riportato ne Lettre sur la comédie de l’Imposteur, Tartufo appartiene a coloro che “avendo pochi mezzi e molta ambizione, senza alcuno dei doni necessari per soddisfarla onestamente, risoluto tuttavia a saziarla a qualunque prezzo, scelgono la via dell’ipocrisia“.

Tuttavia il personaggio del testo non è solo un ipocrita, ma lo è due volte. Tartufo simula non solo la devozione, ma soprattutto l’ipocrisia: l’ipocrisia infatti non è la sua vera natura ma la sua maschera.

Introduzione all’opera

Orgone è un ricco signore che insegue il suo ideale di perfezione morale soprattutto in famiglia, dove impone la castigatezza del costume in una società che avanza verso tempi di corruzione morale. L’incontro con Tartufo e la fiducia che gli viene riposta è frutto di un uomo vecchio, rimasto indietro rispetto all’avanzare del progresso, assillato dalla rivendicazione della libertà da parte dei figli e dalla moglie che non lo ama. Da questa solitudine nasce l’affetto per Tartufo, colui su cui Orgone farà affidamento a occhi chiusi, come a un sant’uomo, ad una guida spirituale, senza rendersi conto dell’evidente raggiro nei suoi confronti.

Il personaggio

Il personaggio creato dall’autore viene messo a nudo subito nei primi due atti dalle parole degli altri personaggi sulla scena, esclusi naturalmente Orgone e Pernella, sua madre. Tartufo viene rappresentato come un furfante, un manigoldo che recita una parte per ottenere quel che vuole. Molière prepara il pubblico all’ingresso del suo protagonista nel terzo atto, sicuro che non ci siano equivoci sull’interpretazione del suo carattere. Questa scelta di rappresentare un ipocrita svelando la sua vera identità prima ancora di vederlo entrare in scena sembra inizialmente un errore, ma l’autore conosce troppo bene le leggi psicologiche del teatro per non farlo di proposito. Ma il fulcro dell’opera non sono né Tartufo né Orgone. La prospettiva di Moliére è ben spiegata dalle parole del critico Giovanni Macchia: “Nascono i tartufi se la società è disposta ad accoglierli: anzi è la società stessa che è sotto accusa e non soltanto uno scellerato troppo scoperto“.

La morale

All’opera di Molière purtroppo rimane attaccato un alone di irreligiosità. L’autore si è ritrovato in un mare di sabbie mobili dal quale nemmeno le suppliche inviate al re hanno salvato l’anima del personaggio. Il critico e teorico teatrale Silvio D’Amico lo definisce come un tentativo di dar battaglia non “ai falsi devoti ma ai devoti semplicemente“; per lui “Tartufo non è, si badi bene, un devoto; è il devoto per eccellenza“.

Nella distinzione tra vera e falsa devozione quel che è più saltato all’occhio per i critici è l’avversità con cui Molière esprime il suo pensiero “da filosofo, da incredulo”, avvicinandosi con quest’opera più che mai a Voltaire, come ha dichiarato lo storico Gustave Lanson.

Oggi l’opera è vista in circostanze molto meno radicali, ma contestualizzarla la rende molto più provocatoria in quanto ogni uomo devoto si sente tirato in causa e, se vogliamo, umiliato.

 

Vi lasciamo con un dialogo tra Tartufo, Orgone e suo figlio Damide dopo che quest’ultimo ha cercato di smascherare dinnanzi al padre l’ipocrisia del falso uomo di fede che ha al suo fianco.

 

Orgone
(…) Bugiardo.

 Damide
I suoi discorsi vi seducono al punto…

Orgone
Sta’ zitto, farabutto.
(a Tartufo) Alzatevi fratello.
(a suo figlio) Infame!

Damide
E può…

Orgone
Sta’ zitto.

Damide
Io do fuori! lui pensa…

Orgone
Se dici una parola, io ti rompo le ossa.

Tartufo
Fratello mio,in nome di Dio, non v’adirate. Preferirei soffrire le pene più tremende piuttosto che il ragazzo riceva un solo graffio.

Orgone
(a suo figlio) Ingrato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.