Tanti auguri a…de Chirico!

De Chirico, Autoritratto con busto di se stesso, 1922 circa
G. de Chirico, Autoritratto con busto di se stesso, 1922 circa

Giorgio de Chirico (Volo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978)

Un artista complesso, che fonda un movimento artistico di cui può dirsi l’unico vero esponente. Figlio di una patria mai vista, un uomo che si sente a casa nel luogo in cui la storia dell’uomo ha avuto inizio. Un artista per vocazione. Una persona che cerca la verità oltre le apparenze. Giorgio de Chirico.

 

L’infanzia e l’esordio artistico

Giorgio de Chirico nasce il 10 luglio 1888 a Volo, capitale della Tessaglia, da poco tornata alla Grecia dopo il dominio ottomano. Il padre Evaristo è un progettista e costruttore di reti ferroviarie, e Giorgio vive l’infanzia tra Volo e Atene seguendo gli spostamenti del padre. Nel 1891 nasce ad Atene il fratello Andrea Alberto, poi noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio. Ad Atene Giorgio inizia i suoi studi di pittura presso Costantino Volonakis.

Nel settembre 1906, un anno dopo la morte del padre, la madre Gemma si trasferisce con i figli in Europa, per permettere loro di completare gli studi e soprattutto per favorire la carriera musicale di Alberto. La famiglia aveva da alcuni decenni ottenuto la cittadinanza italiana grazie al servizio svolto dal bisnonno paterno nella locale ambasciata del Regno di Sardegna, e così Giorgio si ritrova figlio di una patria che non conosce.

La famiglia si reca dapprima a Roma, poi a Venezia e Milano, per stabilirsi infine a Monaco, dove Giorgio continua la sua formazione artistica presso l’Accademia di arti figurative, che lascerà senza terminare gli studi.

La prima fase artistica di Giorgio de Chirico, risalente al 1908 circa, rivela una forte influenza di Arnold Böcklin e di Max Klinger, maestri simbolisti. De Chirico infatti si serve di figure mitologiche, elementi cari della sua Grecia, per evocare i misteri del mondo e della natura. Ne vediamo esempi in opere come Centauro morente (1909) e Serenata (1909).

La nascita della Metafisica

Nel 1909 de Chirico raggiunge la madre e il fratello a Milano. Qui approfondisce la sua ricerca artistica aprendola alla filosofia. Inizia la lettura di opere di Nietzsche: le teorie del filosofo tedesco si fondono con l’impressione avuta in Grecia durante l’infanzia della meraviglia di una natura permeata dal mito. Da queste suggestioni nasce il movimento della Metafisica: l’eternità e l’immortalità non sono cose soprannaturali ma terrestri e naturali. La scelta stessa del nome “metafisica” sconvolge il reale significato del termine, che de Chirico utilizza per mostrare che lo spirito eterno è interno alle cose fisiche e non oltre di esse.

Per de Chirico il ruolo dell’artista è simile a quello di un vate: egli percepisce la verità nascosta all’interno delle cose terrene e la proclama al mondo attraverso un’arte e un linguaggio nuovi. Crea così il vocabolario della sua pittura: architetture antiche, il forte contrasto tra luce e ombra a individuare lo scorrere del tempo, l’acqua, le statue.

Tra le prime opere metafisiche possiamo ricordare L’enigma dell’oracolo (1909), L’enigma di un pomeriggio d’autunno (1909) e L’enigma dell’ora (1911).

Torino e Parigi

Nel 1911 Alberto si era trasferito a Parigi per portare avanti la sua carriera musicale. L’anno successivo Giorgio e la madre lo raggiungono, facendo prima tappa a Torino, dove de Chirico si presenta al servizio militare per disertare una settimana dopo.

Torino è una città molto importante per l’artista, perché qui le sue rivelazioni si evolvono.  Le sue opere si popolano di geometrie vertiginose, come La grande torre (1913), di treni che simboleggiano da una parte lo sradicamento dalla propria patria e dall’altra il conforto del ritorno, come vediamo in L’angoscia della partenza (1914). Le figure antropomorfe rappresentano ora uomini della contemporaneità, spesso rinchiusi in un dialogo impossibile, come in Melanconia (1912).

Arrivato a Parigi, Giorgio entra in contatto con le avanguardie artistiche. Questi scambi intellettuali portano a un’evoluzione della sua pittura, spingendola verso un linguaggio più moderno: da Gauguin prende la stesura del colore à plat, da Cézanne la ricerca volumetrica, da Picasso la semplificazione anatomica. Tuttavia il linguaggio di Giorgio resta fedele a se stesso, continuando la ricerca dell’eternità, seppur ora intrisa da modernità, come dimostrano anche gli accostamenti illogici degli elementi, evidenti in Il sogno trasformato (1913) e La conquista del filosofo (1914).

Alla fine del 1912 espone al Salon d’Automne, attirando i favori della critica. L’anno successivo espone al Salon des Indépendants e poi una mostra personale lo consacra come uno degli artisti più interessanti del panorama artistico europeo. Nel 1914 espone nuovamente al Salon des Indépendants e insieme al fratello entra nel circolo di Apollinaire.

L’avventura francese sembra aver consacrato definitivamente de Chirico nell’olimpo dei grandi artisti. Il ragazzo che dalla morte del padre era sempre stato debilitato dalla depressione può ora ritenersi soddisfatto del traguardo raggiunto.

La guerra

Nel luglio 1914 una grande sciagura arriva a distruggere questo idillio: lo scoppio della prima guerra mondiale. Disertore, Giorgio aspetta a Parigi le decisioni del governo italiano.

Nel 1915 viene richiamato in Italia e mandato a Ferrara. La guerra rivela a de Chirico l’illogicità delle cose, spingendolo a condurre la sua ricerca nel microcosmo del quotidiano. Le prime opere ferraresi sono ambientate in spazi chiusi, in cui si affastellano vari oggetti combinati in modo da evocare la follia dell’universo. A questa fase appartengono La rivelazione del solitario (1916) e Interno metafisico (con grande officina) (1916).

È in questa fase che compaiono i manichini da sartoria, veri protagonisti delle opere di de Chirico: con i loro corpi geometrici creati da assemblaggi di oggetti, rappresentano l’umanità e il mito nella loro totalità. I manichini diventano unici protagonisti silenziosi di paesaggi che sembrano sospesi nel tempo. Il grande metafisico (1917) e Le muse inquietanti (1918) sono opere in cui i manichini sono le uniche presenze “umane” in città desolate e rinchiuse dentro una prospettiva che sembra costringere lo spazio.

Gli anni ’20: Roma e Parigi

All’inizio del 1919 Giorgio si stabilisce a Roma, dove collabora come critico alla rivista “Valori plastici”.

Il suo tentativo di raggiungere il successo spicca nell’allestimento di una mostra personale presso la Galleria Bragaglia, in cui espone le sue opere metafisiche. La mostra è un totale fallimento, che ha un effetto gravissimo sull’animo fragile del maestro.

De Chirico decide allora di cambiare linguaggio pittorico per avvicinarsi maggiormente ai gusti di un pubblico che in quel periodo stava vivendo il “ritorno all’ordine” dell’arte e non apprezzava il linguaggio metafisico. Si narra che durante una visita alla Galleria di Villa Borghese un’opera di Tiziano lo spinse a tornare alla tradizione, intesa come infinito repertorio di immagini ed esempio di diverse tecniche esecutive. Nascono così opere come Il ritorno del figliol prodigo (1919), Paesaggio romano (1922) e La partenza degli argonauti (1922), in cui riconosciamo a fatica la mano del maestro metafisico.

Nel frattempo de Chirico stringe i rapporti con la Francia e con gli esponenti di quello che sarà il Surrealismo. Nel 1924 è a Parigi, dove prende parte alla nascita del movimento surrealista. De Chirico vuole tornare definitivamente in Francia, e per questo nel 1925 organizza una mostra personale alla Galerie L’Effort Moderne di Rosenberg; alla fine dell’anno torna nella capitale francese con la compagna Raissa Gurievich Krol, ballerina russa conosciuta durante lo spettacolo la Morte di Niobe del fratello.

Tra il 1926 e il 1931 a Parigi de Chirico conosce una nuova fase della pittura metafisica, in cui il sentimento nostalgico viene sostituito dalla gioia della ritrovata unità tra antico e moderno. De Chirico vede in Parigi il riflesso di “Atene ai tempi di Pericle”, senza un’interruzione tra il passato mitico e il presente che si trova a vivere. In questo periodo l’artista conosce una grande fortuna grazie al sodalizio con il gallerista Rosenberg e con Paul Guillaume.

Dopo la rottura definitiva con i surrealisti nel 1926, tra il 1927-28 la sua pittura si cristallizza su quattro temi: i mobili nella valle, gli archeologi, i cavalli e i gladiatori.

Il tema dei mobili è ispirato dalla vista su un marciapiede di Parigi di una serie di arredi abbandonati; nascono così visioni in cui questi oggetti domestici assurgono al ruolo di protagonisti degli spazi che abitano, come vediamo in Mobili in una stanza (1927) e Mobili in una valle (1927).

Gli archeologi sono la rivisitazione dei manichini. Personaggi senza volto, tra l’uomo e la statua, il cui corpo è formato da accostamenti di oggetti colorati; dal 1927 nel corpo degli archeologi vengono inserite anche rovine architettoniche per simboleggiare l’inconscio collettivo, come in L’archeologo (1927).

Il tema dei cavalli è una metafora della pulsione vitale e della libertà dello spirito. È un tema che Giorgio tratta per molti anni con esiti diversi, da Due cavalli davanti al mare (1926), in cui gli animali stilizzati occupano uno spazio totalmente metafisico nella concezione e nella costruzione, a Cavallo bianco nel bosco (Arione) (1948), che offre una visione di stampo esecutivo manieristico.

Nel 1927 nasce il tema dei gladiatori, in cui figure maschili danno vita a violenze sotto lo sguardo attento di arbitri o osservatori. Questo tema è molto personale, infatti l’artista mette qui in scena le sue più recondite pulsioni: l’attrazione per la violenza, la mai esplicitata omosessualità, il gusto per il voyeurismo e il conflitto con il fratello. Questo scontro che è anche pulsione interiore è esplicito in Gladiatori si divertono a scuola (1927).

Gli anni ’30: le falsificazioni e il declino

La crisi economica del 1929 mette fine alla fortuna artistica di de Chirico e lo porta a una nuova crisi personale e artistica. Lascia la novella sposa Raissa e nel 1931 inizia una relazione con l’autoritaria Isabella Pakswer, che da quel momento eserciterà un forte controllo su di lui. Isabella, che non è interessata a un legame affettivo con il pittore, gli offre una copertura per la sua latente omosessualità. Interessata ancor più del compagno al successo di mercato, lo spinge verso la realizzazione di quadri più vendibili: nature morte, paesaggi e ritratti veristi. I due lasciano Parigi e vivono tra Firenze e Milano.

Nel 1933 de Chirico inizia a realizzare una serie di “falsi d’autore”, dipinti di soggetto metafisico retrodatati. In quegli anni la Metafisica stava godendo di fortuna di mercato, ma lui aveva svenduto a cifre irrisorie i pochi capolavori che aveva realizzato. L’insoddisfazione per questa situazione lo spinge a falsificare se stesso, per godere di quella fortuna che riteneva gli spettasse di diritto.

Nonostante le difficoltà economiche, de Chirico gode ancora di fama internazionale. Per questo motivo, grazie alla mediazione del gallerista Julien Levy, nel 1936 riesce a recarsi a New York e a tentare l’avventura americana. La sua prima mostra negli Stati Uniti è un successo e gli vale molte commissioni nel campo della pubblicità, dell’editoria, della moda e dell’arredamento.

A New York il movimento surrealista gode di grandissima fortuna, e de Chirico ne è considerato uno dei padri fondatori. Levy pensa di approfittare di questa situazione per consacrare Giorgio nel panorama americano, ma l’artista, che ha definitivamente tagliato i ponti con il movimento nel 1924, si rifiuta di legare il suo nome a un’arte che non riconosce come tale e rinuncia a esporre al MoMA alla mostra Fantastic Art, Dada, Surrealism. Torna in Italia nel 1938, ormai definitivamente allontanato dal panorama artistico internazionale e relegato a una dimensione provinciale.

Le opere degli ultimi anni nulla hanno a che vedere con il grande maestro che diede vita alla Metafisica. Ne mostriamo alcune per evidenziare la distanza dalla sua prima arte: Cavalli in riva al mare (1958), L’isola di San Giorgio (1960 circa), Ritorno al castello (1969).

 

Interrompiamo la narrazione della vita di questo grande artista molto prima della sua scomparsa, avvenuta il 20 novembre 1978.

De Chirico passa i suoi ultimi anni rinchiuso in un desiderio insoddisfatto di godere della fama che il primo soggiorno parigino pareva avergli riconosciuto. Giorgio raggiunge il suo culmine artistico quasi all’inizio della sua produzione, e si ritrova poi costretto a inventare nuove evoluzioni artistiche cercando di accontentare il mercato, ma questa sua produzione è spiritualmente vuota.

Giorgio de Chirico trascorre i suoi ultimi anni nella sua casa di Roma, seduto davanti alla televisione muta. Un uomo che ha cambiato la visione delle cose rinchiuso nel suo silenzio.

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