I viaggi nel tempo attraverso i libri

Breve (e arbitraria) storia dei viaggi nel tempo nella letteratura

La macchina del tempo
Il progetto della macchina del tempo di H.G. Wells

Tracciare una cronistoria dei viaggi nel tempo nella letteratura sarebbe un esercizio sterile quanto inutile, quindi in questo breve excursus mi affiderò totalmente ai miei gusti di lettore: ne uscirà qualcosa di assolutamente parziale, privo di alcuna pretesa di esaustività.

Bisogna comunque ricordare che già nel XIV secolo don Juan Manuel utilizzò il tema dello spostamento di un corpo fisico nel tempo, nella novella Il mago rimandato: fu il primo autore a scardinare la logica – antica quanto la letteratura se non antecedente ad essa – della visione del futuro come pura preveggenza.

 

H.G. Wells, The Time Machine, 1895
H.G. Wells, La prima edizione in volume di ‘The Time Machine’, 1895

Perché il time travel assurga a vera e proprio pseudo-scienza, bisognerà attendere il 1881, anno in cui fu pubblicato L’orologio che andava indietro nel Tempo di E.P. Mitchell: nel romanzo la traslazione temporale avveniva per la prima volta grazie a un device ad essa preposto, antesignano della ben più famosa Macchina del Tempo di H.G. Wells. Il romanzo del geniale scrittore inglese – che da molti viene considerato uno dei padri nobili della moderna science fiction – è incentrato sulle gesta di uno scienziato che ha l’occasione di visitare un futuro remoto  grazie a un congegno di sua ideazione, un prodigio della tecnica con avvenieristici componenti di quarzo e avorio (che probabilmente all’epoca rappresentavano il massimo dell’esotismo nell’immaginario globale). Questo futuro imperfetto si concretizza in un mondo abitato dai gentili Eloi e dai selvaggi Morlocks, riflessi distorti delle classi sociali della contemporaneità dell’autore come accade spesso nella fantascienza, canonizzata nella sua antica declinazione di distopia o utopia.

 

Continuo l’excursus passando alla mia esperienza personale: si appropinquava la fine degli anni Ottanta e gratificavo la mia indole da piccolo tossico di science fiction con antologie di racconti reperite nella biblioteca casalinga e comunale. Un bel giorno trovai nella scatola dei libri in regalo – ovvero quei volumi di cui la biblioteca doveva liberarsi per ragioni di spazio e che venivano affidati alle cure dei lettori – un volume di “Urania Collezione” la cui copertina mi attirò subito: nel cerchio rosso – quello che per decenni caratterizzò la grafica di copertina dei volumi della serie da edicola Mondadori dedicata alla fantascienza – c’era un enorme tirannosauro, disegnato a dirla tutta con qualche licenza d’autore, intento in una sanguinosa battaglia con soldati dotati di un equipaggiamento futuristico; letta con trepidazione la quarta di copertina, corsi a casa stringendo il librino sgualcito come se si trattasse di un tesoro: non solo il racconto che dava il titolo all’antologia disquisiva di viaggi nel tempo, ma i protagonisti li utilizzavano per andare a caccia di dinosauri, animali estinti e misteriosi verso cui la mia fascinazione, di quei tempi, era incommensurabile. Inutile dire che il racconto in questione era Rombo di Tuono (1952) di Ray Bradbury:  certo, allora non riuscii a comprendere come uccidere una farfalla durante un safari nel Cretaceo potesse far vincere le elezioni a un politico di estrema destra nel futuro e, devo confessarlo, le  dinamiche del butterfly effect continuano a rimanere per me piuttosto impalpabili anche oggigiorno. Eppure rilessi quel libro, già di per sé non in ottime condizioni, fino a consumarlo.

L’opera sopra menzionata introduce un concetto che è fondamentale nelle dinamiche del viaggio nel tempo: ammesso e non concesso che si possa viaggiare nel passato, come dovrebbe comportarsi un crono-viaggiatore? Qui subentra il paradosso: uccidere Hitler da neonato potrebbe portare a esiti del tutto imprevisti.

C. Claremont, X-Men – Days of Future Past, matite di J. Byrne, 1982

Esiste anche una declinazione opposta del concetto: il viaggio nel passato diventa così una modalità per correggere le cose, annullare gli errori avvenuti anni prima tramite un processo di course correction. A tal proposito, non posso fare a meno di menzionare un’opera che mi lasciò folgorato durante l’adolescenza, periodo in cui facevo incetta dei vecchi albi Marvel editi dalla Star Comics nelle edicole che relegavano i giornaletti non resi all’editore a scatoloni di cartone straripanti di numeri arretrati: X-Men – Days of Future Past è un breve ciclo narrativo che rappresenta l’acme della gestione del gruppo di eroi reietti da parte di Chris Claremont e John Byrne, seguito alla memorabile Saga di Fenice Nera e apparso in origine su Uncanny X-Men 141 e 142 del 1982. Le premesse sono tanto semplici quanto intriganti: gli X-Men sono praticamente da sempre una metafora del razzismo, reietti e outsiders della comunità supereroistica che hanno fatto  voto di proteggere un mondo che li odia; una delle massime espressioni di tale pregiudizio sono le Sentinelle, colossali robot programmati per debellare la minaccia mutante con metodi violenti. In questi Giorni di un Futuro Passato (che poi nell’edizione originale sono datati 2013!), la paura del diverso ha portato a conseguenze impreviste e letali: le intelligenze artificiali delle Sentinelle hanno determinato che, allo scopo di eradicare le mutazioni insite nel codice genetico umano, il problema va affrontato alla radice, controllando con la loro longa manu robotica l’intero ceppo dell’homo sapiens, assoggettando l’umanità e impedendole di riprodursi indiscriminatamente; gli Stati Uniti sono già caduti sotto il loro tallone (letteralmente di) ferro, i robot si apprestano a cancellare dalle carte l’Europa con una bonifica nucleare. Ciò che resta degli X-Men, confinati in un campo di concentramento e spalleggiati dalla loro storica nemesi Magneto – ridotto, per un’ironica pena del contrappasso, alla paraplegia come il suo vecchio avversario Charles Xavier, massimo fautore della convivenza pacifica fra umani e mutanti –, si appresta ad agire su due fronti: inviare, tramite una sorta di trasmigrazione spaziotemporale dell’anima, la mente dell’adulta Katherine Pryde nel corpo della sua giovane controparte per scongiurare l’assassinio di un politico xenofobo che avrebbe inasprito l’odio verso i mutanti; contestualmente si apprestano a lanciare un disperato attacco al quartier generale delle Sentinelle. Se il primo piano si rivela un successo tanto da offrire la speranza che il cupo futuro non si realizzi, il secondo è una devastante debacle. Ricordo il senso di orrore e spaesamento provati quando lessi la prima volta quelle storie, con gli occhi di adolescente ingenuo, non ancora disilluso dalla conoscenza del processo di repetitio/innovatio alla base della narrativa seriale: liberi dal vincolo delle conseguenze editoriali, i due autori mettono in scena una carneficina, non risparmiando nemmeno Wolverine che, malgrado i suoi poteri di rigenerazione cellulare, viene ridotto a uno scheletro cromato; Rachel Grey – figlia degli X-Men di prima generazione Ciclope e Marvel Girl, defunti durante una delle purghe – è ridotta al ruolo di muta spettatrice degli eventi grazie al legame telepatico con i compari, assiste così impotente al massacro di tutte le persone che le sono care.

 

Avoledo, L'anno dei Dodici Inverni, 2009
T. Avoledo, La prima edizione de ‘L’anno dei Dodici Inverni’, 2009

Un’altra implicazione del viaggio temporale offre preziosi spunti per avvicinarsi al filone della science fiction più “umanistica”: i sentimenti del singolo si contrappongono alle impietose maree del tempo, nel classico tema dell’uomo in lotta contro le leggi naturali che non possono essere arginate. In questa concezione del time travel si incasella La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, romanzo del 2003 di Audrey Niffenegger di cui esiste un adattamento filmico ad opera di Robert Schwentke (2009). Rimanendo nel medesimo ambito ed esercitando un po’ di sano campanilismo, non posso fare a meno di menzionare un bellissimo romanzo di Tullio Avoledo: L’Anno dei dodici Inverni (2009) è la storia di un crono-viaggiatore che bazzica avanti e indietro dal futuro allo scopo di salvare la vita alla sua amante, manipolando le sorti dei suoi genitori e incontrandola fin da neonata senza la possibilità di rivelarle il suo disegno. Il libro rappresenta a mio avviso l’apice della produzione dello scrittore pordenonese, che qui come non mai riesce a coniugare la sensibilità per le storie intimiste con la potenza immaginifica; a questo proposito, le pagine dedicate al sogno premonitore sulla tragedia di Černobyl’ grondano disturbante orrore, toccando le note dell’immaginario di chi, come me, nel 1986 era un bambino in età prescolare che seguiva con un misto di atavica paura e incapacità di comprensione le notizie sul disastro, apocalittico contraltare alla promessa di un futuro basata su macchine volanti e energia nucleare illimitata. Avoledo non appartiene alla scuola del “passato immutabile” né a quella del paradosso temporale, eppure non risparmia al lettore l’evidenza che l’intervento di un deus ex machina proveniente dal futuro possa essere all’origine delle cose come sono: è struggente quanto geniale l’idea degli adepti della futura Chiesa di Philip Dick – l’istituzione che elargisce il dono dei viaggi nel tempo – che, incapaci di resistere alla tentazione di poter osservare anche solo da lontano il loro Santo Patrono, non fanno che alimentare la sua paranoia di essere costantemente spiato dalle autorità, rendendolo de facto l’uomo a cui saranno devoti nel futuro.

 

La narrativa sui viaggi nel tempo riesce a porre sul medesimo piano i protagonisti delle storie e il fruitore della narrazione: entrambi ne escono vittime di un colossale senso di vertigine, spaesati e impotenti davanti all’enormità delle maree del tempo, consci della loro piccolezza davanti a ineluttabili costanti che identifichiamo con termini rassicuranti quali “Storia”, in un esercizio semantico di minimizzazione che serve a evitare di sentirci annullati davanti all’enormità dei meccanismi cosmici.

 

Non occorre una macchina del tempo per anticipare che, sempre qui su ArtPassion, troverete una bellissima retrospettiva de L’Esercito delle 12 Scimmie di Terry Gilliam, a cui seguirà la seconda parte di questo excursus dedicata ad ulteriori pellicole sulla tematica del viaggio nel tempo.

Grande Giove! (Che è una chiosa ma anche uno spoiler su dove si andrà a parare)

 

L. C.

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