Introduzione a Carlo Goldoni

Alessandro Longhi, Ritratto di Carlo Goldoni, XVIII secolo
Alessandro Longhi, Ritratto di Carlo Goldoni, XVIII secolo

Carlo Goldoni – Il talento di un drammaturgo

A  più di 200 anni dalla sua morte, 225 per l’esattezza, Carlo Goldoni resta uno dei più importanti e prolifici drammaturghi della storia.

Nato a Venezia nel 1707, intraprende la carriera di commediografo all’età di ventisette anni per poi abbandonarla relativamente nel 1743 e riprenderla definitivamente quattro anni dopo. Al suo attivo più di seicento commedie teatrali, senza calcolare testi per musica, tragedie, tragicommedie e numerosi altri componimenti.

Durante la sua vita Goldoni, artista, drammaturgo, attento a tutti gli aspetti della realtà che lo circonda, si accorge che la società sta cambiando, che i privilegi nobiliari non hanno alcun reale fondamento, che valori nuovi – propri della cultura illuministica – si stanno imponendo nella società. Non è un ideologo. Il suo illuminismo non è programmatico, radicale e nemmeno populistico come tanti filoni della critica hanno sentenziato fino ai giorni nostri o perlomeno fino agli anni ’70 egemonizzando il discorso su questo autore.

Carlo Goldoni porta l’autore a venir definito in quanto tale, dona dignità a questo ruolo che fino a quel momento era poco considerato e remunerato, se non nella figura del Capocomico, il quale dava indicazioni agli attori appartenenti alla Commedia dell’Arte, nata alla metà del XVI secolo in Italia e morta per modo di dire in Francia – con il nome di Comédie Française – alla fine del XVIII secolo.

Nella Commedia dell’Arte il testo era solo un canovaccio privo di battute. Erano gli stessi attori – le maschere, dall’Arlecchino al Capitano, dal Pantalone a Colombina – a sapere cosa dire, cosa fare, a sapere quando e quanto sfruttare i loro giochi scenici come, tra i più famosi, la caccia alla mosca messa in scena da Arlecchino, ne Il servitore di due padroni, tutti elementi segnati all’interno del loro personale zibaldone, un taccuino su cui ogni attore segnava battute, giochi, gesti.

La storia della riforma è la storia di un drammaturgo che, nonostante enormi difficoltà da superare, riesce a perseguire il suo progetto con una continuità che non ha equivalenti in tutta la storia del teatro.

In Italia però si scontra con i conservatori, l’abate Chiari in primis e il suo principale rivale di quell’epoca, Carlo Gozzi, i quali cercano di mantenere vive le fantasticherie della Commedia dell’Arte da una parte e delle Camarille dall’altra.

In maniera alquanto paradossale la vittoria della riforma coincide con la sconfitta del suo autore, che se ne va dall’Italia per vivere gli ultimi anni della sua vita in Francia, dove muore povero nel 1793.

La vita e le opere

Possiamo suddividere la lunga e feconda attività di Goldoni in cinque periodi.

Il primo di apprendistato vero e proprio – che comprende il periodo di collaborazione con il capocomico del Teatro San Samuele, Giuseppe Imer, e la direzione del Teatro Musicale San Giovanni Crisostomo – va dal 1734 al 1743. In questo periodo si notano i primi passi di Goldoni nel mondo del teatro, dalla ripresa degli intermezzi musicali alla rivalutazione del testo scritto, per sfruttare meglio, attraverso la partitura, le virtù e le singolarità della lingua. Durante questi anni Goldoni può contare su due grandi interpreti: il Pantalone Golinetti, per il quale scrive Momolo cortesan – ribattezzato L’uomo di mondo – e l’Arlecchino Antonio Sacchi, per il quale scrive gli scenari a soggetto, Le trentadue disgrazie di Truffaldino e I cento e quattro accidenti in una sola notte. L’autore si muove verso quello che è il primo esempio di commedia di carattere con Donna di garbo, che segna il progresso verso una commedia teatrale connotata dal punto di vista psicologico e che porta l’autore, accusato di letterarietà e criticato, ad andare via da Venezia per recarsi a Pisa.

Passano alcuni anni e sembra che il teatro sia stato accantonato da Goldoni. Ma ci pensa Antonio Sacchi a richiamarlo, chiedendogli una commedia. Nasce così nel 1745 Il servitore di due padroni, che ottiene al Teatro San Samuele un grande successo. Oltre a Sacchi, chi riporta definitivamente Goldoni nel mondo del teatro è il Pantalone Cesare D’Arbes, per il quale l’autore scrive Tonin Bellagrazia, sempre nel 1745, e due anni dopo I due gemelli veneziani. Grazie a Cesare d’Arbes incontra Gerolamo Medebach e si convince di non poter più sfuggire dal suo destino di poeta di compagnia.

Volendo dedicare ampio spazio alle opere di Goldoni, parleremo dei suoi quattro periodi successivi nei prossimi articoli.

Omaggio a L’arlecchino servitore di due padroni più longevo di tutti i tempi

Ferruccio Soleri
Ferruccio Soleri saluta il pubblico per l’ultima volta, 2018

Prendendo spunto dall’opera del 1745 sopracitata, ArtPassion si prende la libertà di rendere omaggio ad un guinness dei primati, un attore che ha fatto della sua vita la maschera dell’Arlecchino, spedito in scena per la prima volta con una spinta da Paolo Grassi nel 1960, a New York, in sostituzione dell’allora Arlecchino Marcello Moretti.

Diretto da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano per oltre 30 anni, raggiunto il traguardo di 2283 repliche, domenica ha definitivamente lasciato le scene. Stiamo naturalmente parlando di Ferruccio Soleri, il più famoso e longevo Arlecchino che il teatro abbia mai avuto. L’attore ha preso questa decisione dopo una carriera senza eguali.

Lascia in eredità la sua maschera, costruita su misura da Amleto Sartori, a colui che condivide ormai da anni la scena insieme a lui, Enrico Bonavera.

Ferruccio Soleri, che l’anno prossimo a novembre compirà 90 anni, ha calcato le scene interpretando l’Arlecchino da quando di anni ne aveva solo 31, prendendo applausi e ovazioni per i suoi numeri sul palcoscenico in ben 50 stati. Le peripezie della maschera, le gag, a partire da quella citata in apertura di articolo, la caccia alla mosca dell’Arlecchino affamato che non mangia da giorni, tra salti mortali da fermo e gesta sceniche, che il grande Soleri ha compiuto fino ad oggi, sono solo alcune delle tante peculiarità che hanno dato risalto alla sua figura di attore, acrobata e atleta.

Il motivo dell’abbandono è proprio dovuto al corpo. L’allenamento è faticoso e la performance è intensa. Il fisico non è più quello del trentenne che iniziò tanti anni fa la sua carriera e che ancora adesso è in grado di sbalordire con gesta che meno della metà degli attori in circolazione sono in grado di fare con la stessa pulizia e accuratezza scenica.

È finita quindi domenica la carriera di Ferruccio Soleri, attore fiorentino, arlecchino internazionale, a cui ora verrà affidata la responsabilità e la cura artistica della messinscena.

Enrico Bonavera, presentato dallo stesso Soleri a Strehler anni fa, continuerà con il cuore una pratica non semplice ma che donerà, con il suo linguaggio universale, sorrisi a grandi e piccini in giro per il mondo.

L’arlecchino servitore di due padroni toccherà, tra poco più di 50 repliche, quota 3000 da quando Strehler riportò il testo di Goldoni sulle scene nel 1947, ma senza il suo arlecchino più famoso, Ferruccio Soleri.

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