Lars von Trier

Lars von Trier
Lars von Trier, 2011

Lars von Trier – Un genio non gradito

Geniale, cruento, egocentrico, controverso, schietto, innovativo, politicamente scorretto e provocatorio. Un uomo che è ciò che mostra, pieno di vizi e di fobie. “Fobie ne ho da vendere” – “Ho paura di tutto, tranne che di girare un film” – “Vivo uno stato di ansia che mi abbandona solo quando giro un film, starei sul set 365 giorni l’anno. Solo girando mi sento in pace con me stesso e in equilibrio con il mondo” Lars von Trier.

Ipocondriaco, non prende mai l’aereo, e per quanto riguarda i treni viaggia solamente su quelli di una certa compagnia. Un uomo dall’anima tormentata che ad ogni suo film, mai semplice o banale, ha fatto conoscere al pubblico un nuovo lato, oscuro, di se stesso, mettendo a nudo le sue angosce e le sue paure.

In tre parole: “Lars von Trier”.

Abbiamo deciso di dedicare uno spazio al genio ribelle di Copenaghen in vista dell’uscita, prevista per novembre 2018, della sua prossima opera The House That Jack Built, storia di un serial killer psicopatico, con Uma Thurman e Matt Dillon, presentata tra i fuori concorso del 71esimo Festival di Cannes.

Von Trier, Melancholia, 2011
Lars von Trier, Melancholia, 2011

L’ultima apparizione di Von Trier a Cannes risale al 2011 con il film Melancholia. In quell’occasione venne definito dagli organizzatori dell’evento persona non gradita per aver parlato in modo ambiguo di Hitler: “Capisco Hitler, credo che abbia fatto cose assolutamente sbagliate ma riesco a immaginarlo seduto nel suo bunker alla fine. Certo sono contrario alla seconda guerra mondiale e non sono contro gli ebrei, ma in realtà non troppo perché Israele è un problema” – “Credevo di avere origini ebree ed ero contento, poi ho saputo che non era esattamente così ed ho scoperto le mie origini tedesche, sono un po’ nazista anche io e sono contento lo stesso.” – “Adoro l’architetto di Hitler Albert Speer, aveva un grande talento. Come regista nazista”. – Lars von Trier.

Sempre nella stessa occasione von Trier ipotizza un porno con le attrici del cast e alla domanda di un giornalista che chiedeva se il film appena presentato potesse essere distribuito su larga scala, risponde “Noi nazisti siamo piuttosto bravi a fare le cose su larga scala”.

Questo gli comporta l’espulsione immediata dal Festival di Cannes, anche se il suo film rimane in concorso. Molti Paesi minacciano di annullare i contratti di distribuzione a causa delle dichiarazioni e la procura di Cannes lo indaga per “apologia al nazismo”. “Un vero e proprio suicidio professionale”, come lo definisce il regista, sceneggiatore e produttore Claude Lelouch.

Successivamente von Trier ha chiarito che si trattava di uno scherzo fatto ai giornalisti: “Tengo sinceramente a scusarmi. Non sono antisemita, né razzista, né nazista”.

Ma per capire meglio la sua personalità e la sua arte bisogna prima fare un breve accenno al suo passato.

Von Trier: una vita dedicata al cinema

Nato il 30 Aprile 1956 da genitori hippie (nudisti, comunisti e atei), viene abituato alla totale libertà sin dalla nascita. Perciò costretto a formarsi da solo, forgia un carattere del tutto particolare fondato paradossalmente su un’ambigua autodisciplina che lo porterà ad avere non pochi problemi sin da adulto.

Von Trier, The Trip to Squash Land, 1967
Lars von Trier, The Trip to Squash Land, 1967

Lars crederà di essere ebreo da parte di padre, fino a quando sua madre in punto di morte gli svelerà che in realtà è figlio non riconosciuto di Fritz Michael Hartmann, membro di un’illustre famiglia di compositori danesi e soprattutto non ebreo.

Con le idee chiare sin da piccolo sul suo futuro, all’età di 11 anni lavora al suo primo cortometraggio animato, di 2 minuti circa: The Trip to Squash Land (1967).

 

Trier nel corso della sua carriera cinematografica spazierà in quasi tutte le forme del racconto: dal  film per la televisione con Medea (1988) alla serialità con The Kingdom (1994), dal musical con Dancer in the Dark (2000) al cinema fusionale (termine da lui stesso creato per fondere in un unico film: Cinema, Teatro e Letteratura) con Dogville (2003) e Manderlay (2005), passando per i cortometraggi sperimentali come Le cinque variazioni (2003) e A ciascuno il suo cinema (2007), alla commedia con Il grande capo (2006), fino al cinema di genere con Antichrist (2009) e al racconto erotico con Nymphomaniac (2013).

Un’altra caratteristica del regista danese, che lo rende ancor più unico che raro, è la suddivisione di quasi tutte le sue pellicole in differenti capitoli a mostrare una forte influenza letteraria e successivamente l’organizzazione delle stesse in diverse trilogie. Trilogie che non sono legate da un intreccio narrativo, ma da uno “stato d’animo” o da altri temi differenti che in qualche modo toccano personalmente il regista.

Lars crea 4 differenti trilogie: la Trilogia Europea, la Trilogia del Cuore d’oro, la Trilogia Americana e la Trilogia della depressione.

La Trilogia Europea

La prima, Trilogia Europea, come la maggior parte delle sue opere non ottiene successo in patria, ma ottiene un gran successo nel resto del mondo, soprattutto in Europa, permettendogli di ottenere i fondi necessari sia per terminare la trilogia in questione sia per continuare a produrre i suoi successivi lavori.

Il tema principale è la decadenza della società europea del secondo dopoguerra, tema esposto sia nell’ambientazione che nei personaggi stessi: “Sono nato sotto una dittatura, ho vissuto l’infanzia con l’occupazione tedesca poi con la guerra civile, in un paese diviso in due da una lotta fratricida, immagini e stati d’ animo che mi hanno segnato per sempre, ricordi di cui non riesco a liberarmi. La figura di mia madre e delle altre donne che cercano i loro uomini in un campo di cadaveri è sempre presente nella memoria, sono i modelli del mio film. Non smetto di raccontare la tragedia umana perché la tragedia umana non finisce mai.” – Lars von Trier

Von Trier, L'elemento del crimine, 1984
Lars von Trier, L’elemento del crimine, 1984

Un altro tema è l’ipnosi e tutte le pellicole condividono uno stile noir.

Il primo capitolo della trilogia, L’elemento del crimine (1984), è il suo primo lungometraggio in assoluto, è il precursore dei polizieschi introspettivi come Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme o Seven di David Fincher. Stilisticamente raffinato e complesso, caratterizzato da nervosi movimenti di macchina, da un’ambientazione rigorosamente notturna e da una particolare scelta d’illuminazione che dona un effetto seppia alla fotografia.

Segue Epidemic (1987), dove gli stessi Lars von Trier e Niels Vørsel sono i protagonisti di se stessi nei panni di due sceneggiatori.

Chiudendo con Europa (1991), un film affascinante che tratta sempre lo stesso tema in maniera nuova e differente per i tempi. E’ girato prevalentemente in bianco e nero per rendere omaggio ai film degli anni ’20, il tutto accompagnato da obiettivi deformanti e cinepresa dinamica. In quest’ultimo capitolo, il regista interpreta una piccola parte nel ruolo di un ebreo, considerato un omaggio alle origini ebraiche perdute.

Tale trilogia lo porta ad avere talmente tanta visibilità che Steven Spielberg gli offre un lavoro a Hollywood, ma lui rifiuta. “Gli Studios americani danno soldi ai registi per educarli a dimenticare il loro stile” – “Ho sempre evitato quel destino facendo i miei film qui. Bisogna combattere il desiderio di fare un grosso film d’azione. Bisogna evitare ‘Batman’. Più grosso è, peggio è” – Lars von Trier.

Da questo rifiuto, nel 1992 fonda la sua casa di produzione cinematografica, “Zentropa”.

La Trilogia della depressione

Von trier e Charlotte Gainsbourg sul set di Antichrist, 2009
Von Trier e Gainsbourg sul set di Antichrist, 2009

Lars fa conoscere al pubblico anche il suo principale disturbo mentale con la sua ultima trilogia, la Trilogia della depressione; il tema principale è già ben esposto nel titolo e l’attrice Charlotte Gainsbourg reciterà in tutti e tre i capitoli.

Apre il sipario con Antichrist (2009) con Willem Dafoe, ispirato ai libri L’anticristo di Nietzsche e L’inferno di Strindberg, e accostato a Le Fleur du mal di Baudelaire. Uno sperimentale horror “gotico” introspettivo, definito dal “Ciakmagazine” un “capolavoro delirante”, mentre dalla critica negativa “folle, sconclusionato e arrogante”. Di certo una pellicola cruenta. Circondato da un’atmosfera vagamente lynchana, vediamo gli effetti della depressione su una madre di famiglia, già da tempo disturbata, che assiste alla morte del figlioletto.

Come sperimentato in Idioti (1998), per alcune scene von Trier utilizza attori pornografici professionisti come controfigure.

Segue Melancholia (2011), con Kirsten Dunst che sostituì Penelope Cruz per problemi lavorativi. La storia rappresenta il male di vivere di Lars von Trier, rappresento sulla pellicola da entrambe le protagoniste femminili: da Justine, in totale balia di una forma di depressione acuta, e da Claire, alla costante ricerca dell’ordine. Film apoteosi della depressione, dove la Dunst stessa soffrì di depressione durante le riprese. Il film è stato acclamato dalla critica e paragonato a Lo specchio e a Sacrificio di Andrej Tarkovskij e  The Tree of Life di Terrence Malick. E’ ispirato alla lotta contro la depressione del regista stesso e dal personaggio di Ofelia dell’Otello.

Il film si apre con un prologo quasi degno di Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, con 8 minuti di immagini al ralenti accompagnate dal Preludio del Tristano e Isotta di Wagner. La storia narra di questo enorme pianeta, Melancholia, che rappresenta metaforicamente la depressione. Melancholia sovrasta i cieli della Terra pronto a inghiottire l’intero pianeta nel suo tunnel depressivo, stravolgendo la vita della protagonista. Una visione dolorosa della vita da parte di Lars, che vuole rappresentare lo stato d’animo di tutte le persone depresse del mondo.

Von Trier, Nymphomaniac, 2013
Lars von Trier, Nymphomaniac, 2013

Chiude la trilogia Nymphomaniac (2013), con Uma Thurman e Christian Slater, film che parla della depressione in chiave erotica, altro tema ridondante nel cinema di von Trier, presente in moltissime sue opere. Il regista espone il suo timore verso il mondo femminile tanto affascinante quanto misterioso, di fronte al quale si sente “impotente”. Il film narra i desideri sessuali di una ninfomane dalla nascita fino ai 50 anni, che racconta la sua storia a un anziano vergine, attraverso la tecnica del flashback. Data la notevole durata è diviso in due volumi.

Il film ottiene molte critiche positive ma fa non poco scalpore, tanto da dover creare due differenti versioni, come già successo per Idioti: una versione soft, della durata totale di 4 ore, e una esplicita da 5 ore e 30 minuti. La produttrice dichiarò: “A mio parere Nymphomaniac è il suo ‘capolavoro’. E’ il lavoro che racchiude tutti i suoi precedenti film”.

Nymphomaniac non è solo un film erotico, ma un film che parla anche di amore in tutte le sue possibili forme, con molti spunti religiosi e letterali ricordando Histoire d’O di Pauline Réage e le storie del Marchese de Sade, il tutto raccontato con un linguaggio crudo ed esplicito dal finale crudele appunto a rievocare un altro precedente capolavoro di von Trier: Dogville.

Con Nymphomaniac il regista rompe un silenzio stampa che durava circa 3 anni, con un intervista al giornale “Politiken”, raccontando che per creare deve entrare in un “mondo parallelo”, che ora frequenta gli Alcolisti anonimi e che si sta disintossicando dalle droghe. Von Trier ha ammesso di aver cominciato a bere esageratamente nel 1996 per Le onde del destino e di aver bevuto da allora una bottiglia di vodka al giorno. Per scrivere Dogville sotto l’effetto delle droghe impiegò appena 12 giorni mentre per Nymphomaniac, quando aveva già avviato la disintossicazione, ci sono voluti 12 mesi.

“Non so se riuscirò a fare altri film e questo mi preoccupa” – “A chi interesserebbe qualcosa creato dai Rolling Stones senza alcol o da Jimi Hendrix senza eroina?”.

 I film fuori dalle trilogie e il rapporto con gli attori

Fuori dalle trilogie, Lars segue a raccontare di se stesso attraverso altrettanti capolavori.

Con Medea, ispirato dall’omonima tragedia di Euripide, fa conoscere il suo amore per la tragedia greca: “Da bambino non avevo le favole, le mie favole erano gli Atridi, Edipo re, Antigone, I Sette di Tebe. La tragedia greca è parte di me.”

Con The Kingdom (1994), serie di successo horror\comedy ispirata a Twin Peaks, von Trier manifesta la sua grande ammirazione verso David Lynch. La serie ha talmente successo che nel 1997 esce la seconda stagione. E infine con Il grande capo (2006) parla in chiave ironica della sua mania dell’ordine e del controllo su tutto (stessa ossessione che apparteneva anche al grande maestro Stanley Kubrick) e della manipolazione.

Von Trier al Festival di Berlino, 2014
Lars von Trier al Festival di Berlino, 2014

Nonostante abbia ottenuto sempre moltissimo successo e notorietà e nonostante sia stato selezionato nove volte a Cannes, vince solo una Palma d’Oro con Dancer in the Dark, un Gran Premio della Giuria per Le onde del destino e tre premi per Europa. Ha vinto anche diversi premi agli European Film Awards e un David di Donatello per Dogville, ma non ha mai vinto né un Golden Globe né un Oscar.

Al contrario, gli attori ma soprattutto le attrici che hanno avuto occasione di lavorare nel suo cast vinsero numerosi premi nonostante le diverse critiche negative nei confronti del regista, soprattutto per il duro metodo di lavoro, la sua ossessione di avere sempre l’ultima parola su tutto e la poca predisposizione al farsi voler bene.

Sul set di Idioti si presentò nudo, dicendo agli attori che si sarebbero dovuti spogliare a loro volta per lavorare con lui.

Con Bjork ebbe una terribile lite sul set di Dancer in the Dark, tanto che l’attrice e cantante sparì per tre giorni. Al suo ritorno, von Trier le disse che avrebbe dovuto essere ancora più cattivo con lei. Bjork ,dopo la lite, ogni mattina salutava il regista con un “buongiorno signor von Trier, io la disprezzo” accompagnato da uno sputo a terra.

Mentre per quanto riguarda Dogville, Lauren Bacall la ritenne un’esperienza sorprendente ma allo stesso tempo frustrante, Ben Gazzara dichiarò di non voler far mai più un film con lui, chiamandolo “demente” e Nicole Kidman dapprima la definì una “Strana ma bellissima esperienza“, successivamente non partecipò al sequel Manderlay, ritenendo che il regista fosse strato troppo duro sul set nei metodi di lavoro.

Infine John C. Reilly abbandonò il set di Manderlay quando venne a sapere che per una scena sarebbe stato abbattuto un vero asino (in realtà malato e soppresso con un’iniezione prima della scena, secondo le norme danesi).

Von trier e Kidman sul set di Dogville, 2003
Lars von Trier e Nicole Kidman sul set di Dogville, 2003

Sorte diversa invece spetta alle sue due muse Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg che sono state sempre riconoscenti nei suoi confronti, quest’ultima dichiarando sul set di Nymphmaniac:Il set con Lars è un’esperienza eccitante e dolorosa.  Sai che ti spingerà sempre verso il limite estremo. E a volte questo fa paura“. Anche Uma Thurman, Willem Dafoe e Udo Kier hanno continuato a collaborare con lui, senza mai spendere parole di disprezzo.

Forse grazie allo sforzo estremo a cui Lars sottopone i suoi attori e alle regole assurde e quasi dittatoriali, il suo cast ha avuto sempre buoni riconoscimenti, infatti tre sue attrici hanno vinto a Cannes: Bjork per Dancer in the Dark, Charlotte Gainsbourg per Antichrist e Kirsten Dunst per Melancholia. Inoltre, Emily Watson è stata candidata all’Oscar per Le onde del destino.

 

Ma del regista danese c’è ancora molto da dire, per questo ne parleremo ancora in altri due articoli. Approfondiremo la sua tecnica, e nello specifico la creazione del movimento cinematografico “Dogma 95”, esponendo il suo manifesto: “La trilogia Cuore d’oro”, con Le onde del destino (1996), Idioti (1998) e Dancer in the Dark (2000). In ultimo, terminiamo di analizzare le sue trilogie, dedicando uno spazio a sé alla trilogia mai terminata “USA – Terra delle opportunità”, in cui è presente il capolavoro Dogville (2003), Manderlay (2005) e il mai terminato Washington.

Per il momento chiudiamo augurando all’ormai sessantaduenne genio “non gradito” altri numerosi anni di successo e di maggior riconoscimento.

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