Gente di Dublino: la paralisi dell’uomo

James Joyce (Dublino, 2 febbraio 1882 – Zurigo, 13 gennaio 1941)

Un lavoro duro, una vita grama, eppure, adesso che stava per lasciare tutto quanto, già non le sembrava poi così terribile” – James Joyce, Gente di Dublino, Eveline.

Joyce nel 1915
J. Joyce nel 1915

James Joyce nasce a Dublino il 2 febbraio del 1882, primogenito di una numerosa famiglia medio-borghese che lo costringe in una rigida educazione gesuita, cattolica e nazionalista. L’infanzia di James trascorre tra insegnamenti fortemente improntati alla religiosità e al nazionalismo, che Joyce difende nella sua prima opera letteraria, risalente al 1891 e ora perduta, e la situazione economica familiare sempre più precaria. Dopo aver studiato lingue moderne, lascia la città natale e nel 1902 si trasferisce per breve tempo a Parigi, per seguire i corsi di medicina alla Sorbona; la madre però si ammala di tumore e Joyce non completerà mai gli studi. Negli anni universitari trova molte ispirazioni e modelli nei grandi artisti e pensatori del passato: da Aristotele a San Tommaso, da Shelley, Byron e Blake alla narrativa francese dell’800, da Dante a Giordano Bruno e Giambattista Vico.

Tornato a Dublino per assistere la madre malata, il 16 giugno 1904, data cruciale che poi tornerà nel suo celebre romanzo Ulisse, incontra Nora Barnacle, che sarà la sua compagna di vita. Il soggiorno irlandese però dura poco, e sempre nel 1904 Joyce lascia definitivamente la città natale e inizia le sue peregrinazioni nell’Europa continentale. Dopo un primo soggiorno a Zurigo, James e Nora si trasferiscono a Trieste, dove l’irlandese si guadagna da vivere come insegnante di lingue presso la scuola Berlitz; dà inoltre lezioni private, e tra i suoi allievi troviamo Italo Svevo. Tuttavia il suo alcolismo è un ostacolo che lo costringerà tutta la vita a vivere in ristrettezze economiche.

La prima guerra mondiale colpisce la famiglia Joyce a Trieste. Lo scrittore da qualche anno soffre di una grave malattia agli occhi che lo costringe a sottoporsi a numerosi interventi chirurgici, e con la guerra la sua situazione economica si aggrava. Né la malattia né la povertà lo fanno però rinunciare alla sua vera vocazione, la scrittura, che proprio in questi anni vede fiorire alcuni dei suoi più grandi capolavori.

Gente di Dublino, opera fortemente autobiografica conclusa nel 1905, vede le stampe nel 1914. Nel 1916 viene invece pubblicato Dedalus: ritratto dell’artista da giovane. E nel 1922 l’opera universalmente considerata il suo capolavoro, l’Ulisse, il paradigma del romanzo moderno, con i suoi monologhi interiori che svelano una forte influenza freudiana.

Nel 1920 la famiglia torna a Parigi, dove Joyce lavora molti anni alla stesura di La veglia di Finnegan, un’allucinante visione onirica ispirata dalla schizofrenia di sua figlia Lucia, opera stampata nel 1939.

La seconda guerra mondiale colpisce un James Joyce povero e praticamente cieco. L’artista si rifugia a Zurigo, dove muore il 13 gennaio 1941.

Gente di Dublino

Joyce, Gente di Dublino, 1914
J. Joyce, Gente di Dublino, 1914

Opera fortemente autobiografica, Gente di Dublino è una raccolta di racconti che fornisce una rappresentazione dei tipi umani dell’epoca. L’ispirazione per questo capolavoro è insita nella vita giovanile di Joyce e racconta la gente della sua città natale; una serie di bozzetti realistici popolano le vie della città, osservati con uno sguardo pessimista e conscio della vacuità degli sforzi compiuti dagli uomini per uscire dalla miseria.

La raccolta è composta di 15 racconti che affrontano quattro momenti dell’esistenza: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. Le storie di questi personaggi di Dublino non sono però legate tra loro: ogni racconto è fine a se stesso. Il filo conduttore di tutta la raccolta è costituito dall’emarginazione in cui vivono inconsapevolmente questi personaggi e dalla loro incapacità di cambiare il corso della propria vita. Paralisi, è la parola che si associa più frequentemente a Gente di Dublino. La paralisi di ogni singolo tipo umano, ma anche di una società costretta a percorrere sempre la stessa strada senza possibile via d’uscita.

Eveline

Tutti gli oceani del mondo tumultuavano intorno al suo cuore. E lui la stava spingendo lì dentro, la faceva affogare” – James Joyce, Gente di Dublino, Eveline.

Joyce, Gente di Dublino, Eveline, 1914
J. Joyce, Gente di Dublino, Eveline, 1914

Eveline è il quarto racconto di Gente di Dublino, primo testo della serie dedicata all’adolescenza.

Personalmente è un testo che “amo” molto. Una storia semplice, anzi inesistente. In tutto il racconto non succede assolutamente niente, è tutto un percorso mentale ed emotivo. Eveline, una ragazza di diciannove anni, deve decidere se abbandonare la famiglia, che ormai è per lei solo sofferenza, e scappare con il fidanzato Frank. Lei, seduta accanto alla finestra a guardare le vie della sua infanzia, ripercorre con la memoria tutta la sua vita: gli anni felici passati a giocare con i fratelli, il sorriso di sua madre, ormai morta, il cambiamento del padre, ora diventato crudele, la morte di suo fratello. Una vita di dolori, un lavoro frustrante, un mondo in cui non c’è prospettiva di miglioramento. E in fondo al tunnel Frank, quel ragazzo così buono che le promette una vita felice insieme a lui; un uomo di cui Eveline potrebbe anche innamorarsi.

Tra l’odore stantio di polvere e il suono malinconico di un organetto filtrato dalla finestra, la ragazza ripensa a tutta la sua vita, in una costante lotta tra le due parti di sé: il desiderio di una vita dignitosa e felice lontano da quel posto; la promessa fatta alla madre sul letto di morte di prendersi cura della famiglia.

Eveline riesce in una decisione che sembra impossibile. O meglio, ha già scelto dall’inizio del racconto. Non vuole quella vita, non vuole fare la fine di sua madre. Una lettera per il padre e una per il fratello saranno sufficienti per quell’addio impossibile di persona. Lei decide di riscattare il suo diritto a essere felice. E va al porto per partire con Frank.

Gente di Dublino però non racconta storie di vincenti. Eveline, che sembrava così sicura della sua decisione, viene presa dal panico e si paralizza. Non riesce a staccarsi dal parapetto. È pallida, suda freddo, ha un senso di nausea che la pervade. Vede Frank che dalla nave la chiama perché salga e non lo riconosce. La paralisi di Dublino le ha impedito di essere felice.

Un racconto che adoro, perché anche se scritto più di un secolo fa, ancora, a tutti coloro che lo leggono fa dire: “Io non sarò come Eveline”. E grazie al suo fallimento noi possiamo lasciare quel parapetto e decidere di vivere felici la nostra vita.

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