Tanti auguri a…Montale!

Eugenio Montale (Genova 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981)

Montale
E. Montale

Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia” – Eugenio Montale

Le dure esperienze della tenera età

Eugenio Montale nasce il 12 ottobre 1896 a Genova, ultimo dei sei figli di Domenico Montale e Giuseppina Ricci, esponenti della media borghesia cittadina. Forse la malinconica città natale o più probabilmente un’infanzia caratterizzata dalla salute cagionevole, fanno nascere precocemente nel piccolo Eugenio quello sguardo introspettivo e quel  male di vivere che caratterizzeranno tutta la sua vita e la sua poetica.

Spinto a studi tecnici, si diploma in ragioneria, ma tutto il tempo passato a casa malato da solo lo avvicina al suo vero grande amore: la letteratura. La curiosità della giovinezza lo spinge a leggere di tutto, dai grandi classici come Dante e Petrarca ai contemporanei; la sua produzione infatti sarà caratterizzata dalla vicinanza allo stile di Thomas Stearns Eliot. Accanto all’amore per la letteratura, Montale si interessa alle lingue straniere e al canto, studiato dal 1915 al 1923.

Riluttante ad accettare la sua salute precaria, Montale decide di arruolarsi. Ci vogliono quattro visite mediche prima che sia dichiarato idoneo, ma alla fine riesce nel suo intento. Frequenta il corso allievi ufficiali a Parma e nel 1917 chiede di essere inviato al fronte. L’orrore della guerra acuisce in lui quel male di vivere che aveva già iniziato ad avvertire da bambino.

Ossi di seppia e Firenze

Nel primo dopoguerra, un uomo si va affermando: Benito Mussolini. Il lungimirante Eugenio Montale si discosta subito dalle idee fasciste e nel 1925 firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

È questo l’anno in cui viene pubblicata per la prima volta Ossi di seppia, la sua prima raccolta di poesie. Si tratta di una raccolta organica che comprende 23 poesie divise in cinque sezioni tematiche. Le rime sono ambientate nel paesaggio ligure arido e abbandonato, quasi un presagio di morte, e si connotano per il profondo dolore che ne traspare: l’esistenza non ha senso ed è fatta solo di momenti dolorosi.

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
Che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

(E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, Ossi di seppia, 1925)

Nel 1927 Montale si trasferisce a Firenze per il lavoro da redattore ottenuto presso la casa editrice Bemporad. La cultura fiorentina aveva avuto grande importanza per la nascita della poesia moderna, e Eugenio trova un ambiente fecondo e aperto, in cui può creare senza attenersi a schemi ormai morti. Inizia a collaborare con numerose riviste, grazie all’ottimo biglietto da visita costituito da Ossi di seppia, e partecipa ai dibattiti intellettuali nei caffè, con personaggi come Carlo Emilio Gadda ed Elio Vittorini.

Nel 1929 ottiene l’incarico di direttore del Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux, un’importante istituzione culturale che fungeva da punto d’incontro per intellettuali italiani e stranieri. La scelta di Montale per la direzione di questa istituzione era stata dettata dal fatto che fosse l’unico candidato non iscritto al partito fascista; per questo è curioso scoprire che viene rimosso da questo incarico nel 1938 proprio perché antifascista.

Le occasioni

È il 1939 quando Montale pubblica la sua seconda raccolta di poesie, intitolata Le occasioni, a cui lavorerà fino al trasferimento a Milano nel 1948. Nonostante il fervente clima culturale che gli permette di esprimersi senza remore, gli anni fiorentini non sono così facili per il poeta genovese; in questi anni deve destreggiarsi tra ristrettezze economiche e rapporti sentimentali complicati. E tutto questo si trova in Le occasioni: protagonista di molte poesie è Clizia, una figura amata e lontana, a simboleggiare il dolore dell’amore. Il linguaggio si fa più essenziale ed emerge la poetica dell’oggetto, una ripresa del correlativo oggettivo di T.S. Eliot: oggetti e immagini che accostati danno vita a emozioni.

Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.

Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzio lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia i vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.

E l’inferno è certo.

(E. Montale, Lo sai: debbo riperderti e non posso, Le occasioni, 1939)

A Firenze Montale conosce Drusilla Tanzi, che sarà sua moglie e l’amore della sua vita, l’unica che riuscirà a scuotere l’universo di dolore del poeta.

Milano: La bufera e altro

Montale e Tanzi
E. Montale e D. Tanzi

Nel 1948 Montale lascia Firenze per Milano. Con lui Drusilla, con la quale conviveva dal 1939. I due si erano conosciuti nel 1927, quando era la moglie dello storico dell’arte Matteo Marangoni, e si sposeranno solo nel 1962.

A Milano il poeta scrive per il Corriere della Sera e in un primo tempo si avvicina alla politica, iscrivendosi al Partito d’Azione, per lasciarlo poco dopo.

È il 1956 quando pubblica La bufera e altro, che denota un radicale cambio di registro nella produzione del poeta. Il linguaggio infatti, fino ad allora aulico e ricercato, si fa basso, diretto, per esprimere con più immediatezza il male di vivere che si fa sempre più sentire. La bufera è metafora per la guerra, e le poesie si dispongono in una sequenza temporale che, per la prima volta, delinea questo evento reale e atroce.

Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.

Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua seguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.

Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
d
ell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio….

Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, trionfa –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
raccapriccianti, ai greti arsi del sud…

(E. Montale, La primavera hitleriana, La bufera e altro, 1948)

Gli ultimi dolori

Nel 1963 la vita di Montale viene scossa da un lutto da cui il poeta non si riprenderà più: poco dopo il matrimonio, Drusilla si rompe un femore e la sua salute peggiora fino alla morte in quello stesso anno. Eugenio si trova di nuovo solo, dopo aver amato e perduto. Scrive molte poesie per cercare di colmare il vuoto lasciato dalla moglie, in due splendide raccolte, Xenia (1966) e Satura (1971): la memoria accompagna il poeta a ripercorrere la sua esistenza e lo aiuta a rendersi conto di non aver mai potuto godere della leggerezza della giovinezza, avendo sempre sentito il dolore dell’esistenza. E ora che Drusilla non c’è più, anche la memoria è dolore.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

(E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio, Satura, 1971)

Montale vive nei suoi ricordi, circondato da un mondo che lo adora. Nel 1967 viene nominato senatore a vita. Riceve due lauree honoris causa, dalle Università di Milano e di Cambridge. Nel 1975 vince il Premio Nobel per la letteratura. Ma tutto questo non colma la sua esistenza. Si spegne il 12 settembre 1981, in quell’appartamento di Milano in cui per breve tempo era stato felice con la sua Drusilla, accanto alla quale viene sepolto.

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