Luigi Pirandello e il giuoco della vita

Il giuoco delle parti

L’autore

Luigi Pirandello è uno scrittore, poeta e drammaturgo siciliano, nato il 28 giugno del 1867 a Girgenti, l’odierna Agrigento. Avviato dal padre verso studi tecnici, il giovane Pirandello si iscrive alla facoltà di lettere di Palermo per poi trasferirsi prima a Roma, nel 1887, e successivamente a Bonn, dove si laurea nel 1891. Tornato a Roma, si sposa nel 1893 e nel 1897 diventa insegnante di lettere. L’autore inizia a comporre pezzi in versi e novelle, ma è nel 1903 che, in seguito alla pesante crisi economica che colpisce la sua famiglia, compone il suo primo capolavoro: Il fu Mattia Pascal. Il testo viene pubblicato a puntate a partire dall’anno successivo. Durante la prima guerra mondiale, nel 1916, Pirandello scrive Liolà, opera che da inizio alla sua grande carriera teatrale. Dalla trilogia del teatro nel teatro alla riduzione in chiave teatrale delle sue novelle, tra testi in italiano e testi in siciliano, l’autore compone più di quaranta drammi e riceve nel 1934 il premio Nobel per la letteratura. Muore nel 1936 sul set del film Il fu Mattia Pascal.

Il giuoco delle parti

L’opera, scritta durante l’estate del 1918, è stata rappresentata per la prima volta più di cento anni fa, per l’esattezza il 6 dicembre 1918, al teatro Quirino a Roma. Il testo è tratto dalla novella Quando si è capito il giuoco del 1913. I personaggi sono tre: marito, moglie e amante. Leone, il marito, è un filosofo intellettuale dotato di un eloquio alto e forbito. Silia, la moglie, è una giovane donna, capricciosa e tormentata, che poco sopporta il saccente vanverare del marito. Guido Venanzi, l’amante, è a tal punto insignificante da venire dominato dagli altri due.

Trama

Leone si è separato di comune accordo dalla moglie Silia, che vive sola. Tutte le sere Leone si presenta sotto casa di lei senza però salire. Si fa aprire dalla cameriera, si fa dire se ci sono novità e infine se ne va. Silia, che “si vede vivere” fin quasi all’alienazione, trascorre le serate a casa con l’amante Guido Venanzi.

Una sera Silia discute con il Venanzi. Non sopporta più l’indifferenza con cui il marito la tratta e arriva al punto da desiderarne la morte. L’arrivo di quest’ultimo, annunciato dal campanello, cade a pennello. Silia dice alla cameriera di far salire in casa Leone per metterlo a confronto con Guido. Lasciati soli, i due uomini sono obbligati all’incontro e al dialogo. Vengono così a galla i dubbi e l’amarezza del marito, costretto all’indifferenza per sopravvivere all’insofferenza e ai capricci della moglie. I sentimenti che ancora prova per lei vengono respinti dalla sua razionalità che preferisce ammutolire l’amore e la tenerezza nei confronti della moglie-bambina, piuttosto di soffrire. Il marito, reo di aver conquistato un equilibrio interiore superiore, giustifica la sua cinica indifferenza con l’armonia derivata dalla teoria del pieno, del vuoto e del pernio. Per spiegarla al Venanzi, narra l’esempio dell’uovo fresco: “Se sei pronto, l’uovo lo prendi, lo fori e te lo bevi (…) e poi paf! Lo schiacci tra le mani e lo butti via.

Per Silia, il paragone con l’uovo fresco aumenta in lei il desiderio di morte del marito. La gabbia in cui Leone l’ha segregata diventa sempre più una prigione psicologica da cui desidera fuggire. Silia si sente come paralizzata dal marito che “guarda e capisce tutto punto per punto, ogni mossa, ogni gesto, facendoti prevedere con lo sguardo l’atto che or ora farai, così che tu, sapendolo, non provi più nessun gusto a farlo”.

Alla prima occasione, Silia coglie la palla al balzo. Mostrandosi offesa per l’irruzione in casa sua da parte di alcuni uomini ubriachi, capeggiati dal marchese Miglioriti, costringe il marito a sfidare a duello quest’ultimo. Il marchese è un abile spadaccino. Leone, dall’alto della sua superiorità intellettuale, accetta la sfida in qualità di marito. Il Venanzi stabilisce le regole per un duello all’ultimo sangue. Leone convince l’amante ad affrontare il marchese per difendere i valori della donna. Del resto è il Venanzi che vive con lei. Ed è sempre lui a possederla. L’amante si ritrova nel giuoco delle parti a vedersi ricadere addosso le condizioni del duello da lui stesso stabilite e a doversi fare carico della parte assegnatagli nel giuoco della vita. Il Venanzi rimane ucciso. Ma per Leone la sua morte non è stata un’allegra vendetta.

Morale

Il trionfo di Leone è amaro ed illusorio. Come illusorio il superamento del dolore dalla separazione voluta dalla moglie. Come illusorio il tentativo di oltrepassare l’infelicità dell’essere umano. Il triangolo amoroso viene condito dalla problematica pirandelliana che interiorizza i personaggi rendendoli spettatori consapevoli del giuoco della vita. Pirandello ne capovolge le situazioni e ne inverte le parti. Invece di nascondere la sofferenza, la copre con un velo tragicomico che evidenzia i sentimenti interiori dei personaggi portati all’esasperazione. L’equilibrio creato dall’autore nelle situazioni iniziali dei singoli personaggi finisce per venir demolito, schiacciato dalle macerie frutto delle evoluzioni che incatenano ognuno alle sue infelicità.

Da “L’Avanti” del 6 febbraio 1919

Citando Antonio Gramsci: “Banalmente esprimendosi: la moglie vuol disfarsi del marito; insultata come moglie, vuole che il marito si batta a duello. Il marito non la intende così e costruisce, sulle contingenze che la natura esteriore al suo io gli getta tra i piedi, il trionfo della ragione logica: accetta il duello all’ultimo sangue e poi non si batte, costringendo a battersi e a farsi uccidere, l’amante che è il vero marito. La vita è per lui, concetto puro, un giuoco meccanico, di cui prevede e dispone a priori le parti, facendo sempre scacco matto. (…) L’incomprensione reciproca delle marionette sceniche si è proiettata nel teatro: pieno dominio di monadi senza porte e senza finestre, incomunicabili e incoercibili. L’autore, i personaggi e il pubblico.

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