La sterilità della cinematografia odierna

L’esempio di The Love Bug (1968). Dal primo all’ultimo Herbie.

Stevenson, Herbie, un maggiolino tutto matto, 1968
R. Stevenson, Herbie, un maggiolino tutto matto, 1968

L’arte cinematografica è la più giovane e per questo la sua storia è la più rapida da raccontare. Da quando è nata sono esistiti un gran numero di movimenti, avanguardie, prese di posizione e tentativi di abbattere linguaggi classici troppo basati su schemi superati e ormai lontani da poetiche e innovazione, necessari per rendere originale ogni storia.

Negli ultimi anni questa originalità è venuta meno. Tra film rifatti, reboot di vecchie trilogie, storie trite e ritrite che vengono apprezzate solo per la presenza nel cast di attori famosi, e non per una sceneggiatura da Oscar, il cinema sta attraversando un momento di sterilità.

Se però le dinamiche esterne, come dicevamo nell’articolo dedicato all’egemonia Disney, costituiscono una parte del problema, l’altro è la scelta delle maggiori produzioni di affidarsi a plot che seguono sempre lo stesso iter. In Italia soprattutto.

Considerando le produzioni britanniche come quelle più prolifiche nel settore beyond, non subordinate ai soli prodotti preconfezionati e libere dal dover per forza seguire le regole alla lettera – del resto i veri cinefili sono coloro che conoscono a tal punto il linguaggio cinematografico da poterlo sfruttare a loro vantaggio come meglio credono – ci accorgiamo subito della differenza con il cinema italiano, dove il film indipendente o diverso dagli altri viene mal giudicato, esattamente come qualcuno che non appartiene al nostro credo cinematografico.

Se osserviamo i prodotti usciti dalle grandi case produttrici dell’inizio del secolo, negli States come in Italia, potremmo definirli validi solo per l’incasso del botteghino dato dalle firme sul cartellone. Una produzione prolifica ma che in realtà è frutto di una clonazione. L’originalità è quasi messa al bando. “Quasi” perché se tocchiamo il sociale allora ogni prodotto diventa interessante – anche se non originale – ma lo vedremo durante un cineforum, una proiezione per pochi intimi, nulla di più.

Come avviene per la musica, nessuno si aspetta che tra cinquant’anni qualcuno ascolti il successo del Sanremo odierno. Mentre ad oggi, canzoni di cinquant’anni fa si prendono degnamente il palcoscenico e non mollano un centimetro alle cosiddette star odierne.

Nel cinema è lo stesso. Senza voler eviscerare i prodotti di queste ultime due decadi, consideriamo solo un film per grandi e piccini. Prodotto dalla Disney, Herbie: Fully Loaded, conosciuto in Italia come Herbie il supermaggiolino del 2005 è il sesto episodio del celebre maggiolino, nato in America con il titolo originale The Love Bug. Perché osare con un sesto episodio e non scrivere qualcosa di nuovo? In pochissime parole: perché un brand paga.

Le differenze tra Herbie, un maggiolino tutto matto del 1968 e Herbie il Supermaggiolino del 2005

Lohan, Herbie - Il supermaggiolino, 2005
L. Lohan, Herbie – Il supermaggiolino, 2005

L’abisso che differenzia le due pellicole non è dato solo dal punto di vista del cast – senza nulla togliere a Lindsay Lohan e a Michael Keaton – ma anche dal punto di vista della storyline.

Seppur migliorato dal punto di vista grafico, grazie soprattutto al progresso scientifico e alla grafica computerizzata, il prodotto finale dell’odierno Herbie finisce per tritare in malo modo una sceneggiatura per nulla originale. The love bug, nel 1968, era in mano ad attori caratteristi del calibro di Dean Jones e Buddy Hackett, comici come la brava Michele Lee e David Tomlinson, nel ruolo del cattivo, aiutato da Benson Fong.

Il film del ‘68 ha tutto quello che funziona in un classico film Disney. Infatti Herbie si è visto allungare la vita per ben cinque film, con Dean Jones presente anche nel film del 1997, undicesimo episodio della prima serie di The Wonderful World of Disney (1995-2019), The love bug, dove Herbie combatte Horace, la versione infernale di Herbie.

Lohan parla con Herbie, da Herbie - Il supermaggiolino, 2005
L. Lohan parla con Herbie, da Herbie – Il supermaggiolino, 2005

Nel secolo odierno il brand di Herbie viene ripreso e trasformato in Herbie il supermaggiolino. La protagonista diventa la figlia di una famiglia di piloti da corsa che, incredibile ma vero, nella sua vita vuole fare la pilota anche lei e dimostrare a suo padre che ci può riuscire. Naturalmente nel paese dove è nata e cresciuta, il meccanico è da sempre suo amico. Ed è da sempre innamorato di lei. Ciliegina sulla torta, che non può mai mancare, il padre non è d’accordo.

 

 

Herbie, un maggiolino tutto matto, di Stevenson, 1968
Fotogramma da Herbie, un maggiolino tutto matto, di R. Stevenson, 1968

La sceneggiatura di quest’ultimo film ha avuto successo solo per il brand su cui si è posata. Il prodotto uscito è pari ad un maggiolino con il motore di un Ciao rispetto al primo Herbie che avrebbe potuto battere persino una Ferrari. L’avventura che si prova viaggiando su Herbie in The Love Bug rispetto a Lindsay Lohan che litiga con un pezzo di ferraglia in officina, tra sentimenti ed emozioni, non ha paragone. Il lato positivo del film c’è: essere riusciti a mantenere la stessa colonna sonora, di compagnia e divertente, a distanza di quasi quarant’anni.

 

Il prodotto di questo ventunesimo secolo è giunto a tal punto trito e ritrito che pare più figlio non della mancanza di idee ma di altri motivi.  Fare qualcosa di innovativo significa non avere qualcosa alla base da cui attingere per avere una maggiore odience – ad esempio un brand – e quindi una maggiore affluenza nelle sale. Rischiare il salto nel buio non è un gioco adatto al periodo storico ed economico che stiamo attraversando. Tuttavia ciò fa decadere la necessità di creare qualcosa di nuovo e allontana nuovi investitori da quelli che possono essere prodotti di un certo valore artistico e socioculturale. Doversi appoggiare a qualcosa che già esiste per produrre qualcosa di nuovo non è sempre necessario. Esistono cineasti che ne sono la prova. Ma questa è un’altra storia.

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