Carlo Goldoni e Gl’innamorati

Pitteri, Ritratto di Goldoni, 1761
M.A. Pitteri da L. Tiepolo, Ritratto di Goldoni, 1761

Carlo Goldoni – Le critiche, la Francia, la morte

Dopo esserci soffermati nel primo articolo sull’Arlecchino servitore di due padroni e nel secondo sul suo manifesto – Il teatro comico – torniamo oggi a parlare di Carlo Goldoni per approfondire gli anni successivi a quelli dei grandi successi al teatro Sant’Angelo con la compagnia Medebach, concludendo con un piccolo estratto dell’opera che mi ha portato ad amare il teatro: Gl’innamorati.

 

 

1753-1758

Durante il 1754 Goldoni vive uno dei momenti peggiori della sua vita. Prima una malattia nervosa gli impedisce per cinque mesi di lavorare. A novembre subisce poi la scomparsa della madre. Questo non sarà comunque un anno da dimenticare vista la fecondità con cui il poeta compone opere. In questi anni, dalla seconda metà del 1753 fino al 1758, si erge uno dei periodi più difficili per Goldoni che però non sottrarrà il drammaturgo all’arte, tanto da ottenere durante il suo soggiorno parmense il titolo di poeta e una pensione annua.

La produzione

La sua produzione, sull’onda del successo al Sant’Angelo, lo porta al San Luca, dove con la tragicommedia esotica in versi martelliani La sposa persiana ottiene grande successo nell’ottobre del 1753 e porta l’autore a produrre una trilogia e a scrivere altre opere dello stesso tipo.

Le produzioni di Goldoni, che F. Fido ha definito “le illusioni e i mostri degli anni difficili al San Luca“, in realtà sono assai meno negative di quanto si è sostenuto. Detto ciò, questo resta il periodo più tormentato per tutta l’attività goldoniana, senza sottovalutare l’asprezza delle polemiche dei suoi rivali e l’incostanza del pubblico.

1759-1762

Nel 1759, di ritorno da Roma, arricchito dall’esperienza umana ma deluso dalla situazione teatrale, Goldoni si ferma a Bologna, dove compone il primo dei suoi capolavori italiani e veneziani: Gl’innamorati.

Da questo momento inizia un periodo di operosità che porterà l’autore all’addio alla città di Venezia con l’opera Una delle ultime sere di Carnevale, rappresentata nel 1762, due mesi prima della sua partenza per Parigi.

Sono anni di straordinaria creatività per il poeta, giunto ormai a una felicità espressiva in cui l’identificazione tra mondo e teatro, tra realtà e poesia, è assoluta e perfetta. Durante questo periodo prendono vita capolavori in lingua italiana come La trilogia della villeggiatura o in veneziano come I rusteghi, opere che vengono definite di una perfezione formale e una vibrazione poetica di una qualità superiore. “Testi dove” – come dice uno dei più equilibrati critici, W. Binni – “il ritmo teatrale e il ritmo vitale si fondono in profondo ritmo poetico. (…) Queste grandi commedie sono l’espressione più alta ed intera dell’animo poetico goldoniano nel momento in cui la sua esperienza artistica è giunta alla sua piena maturità“.

Le difficoltà

Provato da un ambiente teatrale sempre più ostile e critico nei suoi confronti, Goldoni accetta l’offerta di Parigi. A Venezia ormai all’abate Chiari si era aggiunto Carlo Gozzi, autore non solo di interventi di natura teoretica o satirica, ma anche di Fiabe, ben accolte dal pubblico. L’ostilità di Gozzi e dell’accademia dei Granelleschi, le difficoltà con Vendramin, nuovo proprietario del San Luca, e forse più la consapevolezza di aver raggiunto il punto più alto della sua fase creativa e la legittima ambizione di verificare il proprio valore, portano Goldoni a trasferirsi nella capitale europea della cultura.

Goldoni non parte perché sconfitto da Gozzi o dal pubblico. Parte per mettersi nuovamente in gioco, per il bisogno di nuove esperienze, nuove atmosfere culturali, nuovi attori.

La Comédie italienne

L’incarico di lavoro per la Comédie Italienne inizia nel 1763. Le sue prime opere sono concepite più per Venezia che per gli attori di Parigi, ancora abituati alla commedia a soggetto. L’impatto di Goldoni sul panorama francese è assai difficile, arduo al limite della rinuncia a restare.

Ma il poeta che c’è in lui non si abbatte e compone nel 1771, in francese, Le bourru bienfaisant, rappresentato trionfalmente dalla Comédie Italienne. In seguito, nel 1784, inizia a comporre i suoi Mémories, dove mette a confronto l’incontro di due civiltà teatrali nell’ora forse più europea della nostra cultura, pubblicati nel 1787.

Nonostante la pensione di corte, i lavori da insegnante presso la dimora di Versailles per la figlia di Luigi XV prima e le figlie di Luigi XVI poi, Goldoni vive in condizioni economiche non facili, tanto da dover vendere la sua preziosa biblioteca teatrale.

Goldoni muore nel 1793. Ma nel suo periodo francese, grazie al suo capolavoro Le bourru bienfaisant, viene proclamato da Restif de la Bretonne “Il Molière d’Italia“. Tutto questo rimanendo sempre se stesso, accettando e cogliendo quella che è la tradizione della commedia francese, senza nulla togliere all’identità del proprio teatro.

Gl’Innamorati

La commedia viene pubblicata per la prima volta nel secondo tomo dell’edizione Pasquali, nel 1761. Racconta l’insofferenza di due giovani attori innamorati. Nel sistema teatrale del tempo questo era un ruolo impegnativo e vincolante; chi lo interpretava doveva usare toni alti, enfatici, letterari e le posture dovevano essere monumentali, di maniera.

L’opera

Goldoni approfitta della presenza di un’attrice, Caterina Bresciani, particolarmente bizzosa ed indisciplinata, per mettere in discussione quel sistema. La storia di un matrimonio continuamente rimandato diventa la trama utile ad evidenziare un simile talento, che per tutta la commedia cerca di imporre il suo protagonismo femminile improvvisando scenate ad effetto.

Le capacità del drammaturgo nello scegliere gli interpreti lo porta a preferire per il pantalone non un attore specializzato nel ruolo di vecchio ma un primo zanni, un brighella, adatto alle tirate e ai monologhi culinari. Questo perché il personaggio dello zio Fabrizio è un povero che nasconde la sua indigenza agli altri oltre che a se stesso e si convince, oltre che di essere un collezionista di quadri, di essere un cuoco.

Questa mossa dell’autore sfrutta in chiave psicologica le qualità mimetiche del ruolo, confermando la nascita del moderno caratterista: un attore in grado di usare le doti di improvvisazione e trasformismo proprie della commedia dell’arte per fabbricare i ritratti realistici tratti dalla società del tempo.

Vi lascio quindi con un breve estratto dove i due “innamorati”, senza considerarsi sulla scena come in un dialogo vero e proprio, danno luogo a maldicenze che escono dalle loro bocche senza filtri. I due andranno a perseguire una strada, frutto di mere congetture dettate da un’idea. Quel che non sanno è che l’interpretazione errata può deviare due persone ma, se nel profondo del loro cuore sono l’una innamorata dell’altra, il vero amore trionferà.

FULGENZIO
(Per me ho finito di essere innamorato).
(Passeggia)

EUGENIA (da sé)
(Voglio piuttosto mettermi un sasso al collo e andarmi a gettar nel naviglio).

FULGENZIO (come sopra)
(Si vede chiaro, che è annoiata di me).

EUGENIA (da sé)
(Ha il cuore con tanto di pelo).

FULGENZIO (come sopra)
(Ci scommetterei la testa, che il conte le piace).

EUGENIA (da sé)
(Finto! Doppio come le cipolle!)

FULGENZIO (come sopra)
(Son pur pazzo io a perdere il mio tempo, e a perdere la salute, ed il riposo per lei).

EUGENIA (da sé)
(Lo vedrebbe un cieco che ha più premura per la cognata, che per me).

FULGENZIO (come sopra)
(Penerò un poco, ma lo supererò questo indegnissimo amore).

EUGENIA (da sé)
(Se ora mi tratta così, guai a me, se fosse mio sposo).

FULGENZIO (come sopra)
(Farò un viaggio; me ne scorderò).

EUGENIA (da sé)
(Ha una faccia, che pare il vero demonio).

FULGENZIO (come sopra)
(E stimo, che non mi dice niente).

EUGENIA (in atto di partire)
(Che ho da fare io con questo girandolone? è meglio che me ne vada).

FULGENZIO (forte)
Buon viaggio.

EUGENIA (si volta)
Felice ritorno.

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